Si dice che l’ordine degeneri in disordine. Se esiste in musica una dimostrazione di questo concetto, deve essere nel sound degli svedesi Meshuggah, nel loro caos costruito e rilasciato con diligenza, nella maestria tecnica e nella peculiarità compositiva del gruppo, capace d’interpretare il metal sfuggendo ai canoni, eppure rispettandoli. La musica dei Meshuggah è metal nell’anima e jazz nel pensiero, al punto che si potrebbe parlare di “free metal” così come si parla di “free jazz”. L’evoluzione stilistica dagli esordi a oggi fa pensare a un modello in scala dell’espansione dell’universo: con la recente accoppiata di “I” (ep, 2004) e “Catch 33” (cd, 2005) il gruppo è entrato nella fase di rallentamento e raffreddamento, senza che questo significhi stasi o tranquillità. All’interno di un muro sonoro più compatto e squadrato che in precedenza, ruotano le irrequiete galassie elettriche delle chitarre di Fredrik Tordendahl e Marten Hagstrom, irradiate dall’energia incessante emessa dalle percussioni-quasar di Thomas Haake.
Un piccolo “big bang” facilmente databile: l’epoca è il 1985, il luogo è Umea, nel nord della Svezia, città universitaria sul Golfo di Botnia con insediamenti minerari e metallurgici, un aeroporto e una temperatura estiva che, al massimo, raggiunge i 15 gradi. Con questi presupposti, non è strano avere una scena metal particolarmente fertile; non foss’altro, come sostiene lo stesso vocalist dei Meshuggah, Jens Kidman, “perché non c’è molto altro da fare”.
Il primo nucleo della band, che include, dell’attuale line-up, il solo Tordendahl, prende il nome di Metallien e produce alcuni demo prima di sciogliersi; Tordendahl ci riprova con Jens Kidman: viene adottato il nome Meshuggah, fino a quando Kidman lascia per formare un proprio gruppo, i Calipash. Poco dopo, Tordendahl viene chiamato a sostituire il chitarrista dei Calipash e i Meshuggah rinascono: è il 1989 ed è il loro esordio ufficiale con l’ep “Psykisk Testbild”, che vale il contratto con la Nuclear Blast, ancora oggi la loro casa discografica. Nel ‘91 l’esordio sulla lunga distanza: “Contradictions Collapse”, cui seguiranno l’ep “None” nel ’94; il cd “Destroy Erase Improve” (’95); gli ep “Selfcaged” (’95) e “The True Human Design” (‘97); il terzo e quarto full-lenght “Chaosphere” (’98) e “Nothing” (’02). Gruppo non troppo prolifico, il che non stupisce, considerata la densità e la qualità del materiale: dietro l’apparente forma di jam delle canzoni, si nasconde un writing accurato e preciso. Nelle stesse parole del gruppo: “Scrivere non è un problema, ma ci arriviamo piano”.
“I” e “Catch 33” rappresentano un felice paradigma di questo spirito: l’energia profusa è tale da creare, inizialmente, un’illusione di monolitismo; ma su questa base s’incrociano, fondendosi, le variazioni che ciascun componente apporta con il proprio strumento, in una sorta di minimalismo corale, solo apparente: i Meshuggah conducono l’ascoltatore lungo un viaggio magmatico e fluido, lento ma in moto perpetuo. All’atmosfera apocalittica già evocata dal suono, s’aggiungono liriche impegnate nella descrizione d’infernali gironi interiori; una visione apprezzabilmente priva di cliché demoniaci, più improntata al racconto di una realtà il cui ordine è già degenerato. Per ritornare così alla de-composizione (musicale): il cerchio è chiuso, ma in espansione.