Quando, nel corso degli eventi umani…”: ricordate queste parole? Sono le prime parole della Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776. Nascono gli Stati Uniti d’America. Ma con quelle stesse parole comincia anche la Declaration of sentiments proclamata dalla Convenzione di Seneca Falls, il 20 luglio 1848. Non nasce alcuno stato, ma si affermano le seguenti verità: “che tutti gli uomini e le donne sono stati creati uguali; che il Creatore ha attribuito loro alcuni diritti inalienabili; che tra questi sono la vita, la libertà, la ricerca della felicità; che, per garantire tali diritti, devono essere costituiti governi i cui giusti poteri derivino dal consenso di coloro che sono governati”. Sono le stesse parole della più famosa declaration, ma al fianco degli uomini ci sono qui (settantadue anni dopo) le donne.
In Francia avevano fatto prima. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino fu proclamata il 4 agosto 1789. La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina è pubblicata a Parigi nel settembre 1791, due anni dopo, quando ormai l’Assemblea nazionale ha concluso la propria opera approvando la Costituzione. Che avrà vita breve: travolta dal definitivo crollo della monarchia francese, dallo scoppio della guerra e dalla esasperazione popolare. Ma vita breve avrà anche l’autrice della Dichiarazione dei diritti della donna, Olympe de Gouges (pseudonimo di Marie Gouze) ghigliottinata nel novembre del 1793, in pieno Terrore giacobino, per “aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso” ed “essersi immischiata nelle cose della Repubblica” (ma anche per aver assunto le difese di Luigi XVI e aver attaccato Robespierre, ça va sans dire). Ironico e tragico destino, per colei che nell’art. X della Déclaration aveva scritto, con parole che Jules Michelet definì “giuste e sublimi”: “Nessuno deve essere perseguitato per le sue opinioni, anche fondamentali; la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna”.
In una parte del mondo, i due “diritti” sono ancora separati. Ci sono donne che salgono volentieri sul patibolo: si fanno esplodere su un pullman turistico, come sembrerebbe essere accaduto ancora la settimana scorsa in Turchia. Come accade ancora in Medio Oriente, o è accaduto in Cecenia. Quelle stesse donne non hanno, in una larga parte del mondo islamico, il diritto di salire sulla Tribuna, cioè il pieno riconoscimento dei diritti civili e politici. Non hanno una Declaration of sentiments, non hanno una Déclaration des droits. Noi, invece le abbiamo: da più di duecento anni. E ce ne siamo così bene appropriati, che possiamo pure domandarci se la vera liberazione della donna consista nel prendere a modello, scimmiottandole, le Dichiarazioni degli uomini. Se quella di cui godono oggi in Occidente le donne sia “vera” libertà. Erano libere le donne-carceriere di Abu Ghraib, si domanda ad esempio Luisa Muraro, una delle più importanti filosofe italiane (e, insieme a Gramsci e Tronti, eccezione alla debolezza della filosofia italiana del ‘900 secondo Toni Negri)? Erano donne libere le donne-aviatrici a bordo dei bombardieri che sorvolavano l’ex-Jugoslavia? Si vorrebbe rispondere, magari con amarezza, di sì: perlomeno, nella stessa misura in cui lo erano gli uomini carcerieri e gli uomini aviatori. Ma la Muraro esita di fronte all’idea che la libertà delle donne sia legata all’uguaglianza con gli uomini. E arriva persino a chiedersi se la scarsa presenza di donne nelle istituzioni democratiche non sia da intendersi come il segno della scarsa “simpatia femminile per la democrazia rappresentativa”.
Altro che esportazione delle democrazia! Scienza, tecnica, mercato, diritti, democrazia, ben lungi dall’essere universali e perciò neutrali, recano il segno del potere maschile. E d’estate se ne vedono le conseguenze: è sufficiente che la neostilista Valeria Marini presenti in passerella una collezione di intimo piuttosto audace, perché subito si faccia il giro delle opinioni, e si domandi loro se questa è vera emancipazione della donna oppure una nuova schiavitù. Ma noi ci affidiamo a un’altra filosofa, l’americana Martha Nussbaum, che si chiedeva se “l’assalto femminista alla ragione dell’occidente” aiuti davvero la causa della donna. Poiché è vero che la forma storico-politica dell’Occidente non è affatto neutrale rispetto alla differenza sessuale, ma è vero pure che è la forma in cui quella differenza è stata per la prima volta riconosciuta nei suoi diritti. Nei giorni della liberazione delle due Simone, Francesco Merlo scrisse che “è alla donna che l´Islam fondamentalista ha dichiarato la quarta guerra mondiale. Ed è una guerra contro l´Occidente perché l´Occidente è la lunga via alla liberazione della donna”. Se è una guerra, combattiamola pure. Ma senza se e senza ma: con Valeria Marini coraggiosamente al nostro fianco. (Il 20 luglio ricorre l’anniversario: chi può, si legga la Dichiarazione e le Deliberazioni di Seneca Falls: è un pezzo del nostro why we fight).