Negli studi di antropologia criminale è una classica prova della certezza d’impunità. L’autore di un delitto, quando “sa” di essere imperseguibile, prova un incontenibile senso di sfida nel lasciare indizi che inequivocabilmente portano a sé, perché ciò aggiunge incontenibile senso di superiorità quando, al contrario, del reato sarà chiamato a pagare un innocente. Per moltissimi versi, è ciò che sta avvenendo sulla vicenda della doppia opa bancaria. Chi sono infatti i perdenti sul mercato, coloro che hanno raccolto a Padova uno sparuto 0,5% dei titoli Antonveneta nell’opa lanciata da Abn Amro, e uno scarso 2% a Roma in quella lanciata dal banco di Bilbao? In Bnl, Abete che ha partecipato in prima fila al meeting frascatano di Rutelli, e Della Valle grande amico dichiarato e ricambiato di Mastella. A Padova, il presidente dell’Antonveneta “olandese” è l’ex senatore Fantozzi, ministro del governo Dini, quel governo di cui segretario generale a palazzo Chigi era Lamberto Cardia oggi presidente della Consob e molto più “aperto” alle ragioni ispano-olandesi di quanto sia stata Bankitalia. Ah, dimenticavo: il capo di Abn Amro in Italia è il manager che il sindaco Rutelli insediò e tenne per anni alla testa della maggior municipalizzata romana, l’Acea.
Nessuna di queste numerose e non troppo singolari colleganze rappresenterebbe un problema, in un paese normale. Capita, in un paese dove la classe dirigente non è poi così numerosa, e vive al riparo di corsi e ricorsi e di intrecci politico-amministrativi-manageriali. Il fatto notevole è tutt’altro. E cioè che sia esattamente il fronte politico al quale si riconducono tutti questi capisaldi d’interesse, ad accusare di immonde mani lunghe sulla finanza e sulle banche i Ds, e Giovanni Consorte di Unipol come presunto loro cieco mietitore di messi. Chi già controllava intrecci bancari accusa altri di volerlo fare, e lo fa con una forza che non ha precedenti nella storia italiana: perché a mettere piombo nelle loro salve ci ha pensato quel Corriere della sera che in questi mesi ha dispiegato la propria forza come mai era capitato in precedenza. Per bloccare la scalata su Rcs certo, ma poiché per farlo in maniera più “sistemica” e meno Cicero pro domo sua occorreva estendere la portata del tiro, ecco che nel mirino è opportunamente finito il “concertino” di Fiorani, oggettivamente commisto a intrecci con Ricucci, e poi anche l’opa di Unipol su Bnl.
E qui si manifesta la seconda certezza d’impunità, dopo quella di far questione morale in casa d’altri degli interessi che sin qui si è coltivati con successo in casa propria, senza che alcuno eccepisse. Il tentativo cioè di considerare le grandi cooperative “storiche” socie di Unipol, Unipol stessa e Consorte che le guida nell’impresa, alla stessa stregua di finanzieri d’incerta origine come gli immobiliaristi, o di manovrieri la cui crescita nel panorama bancario italiano degli ultimi anni è stata oggettivamente favorita da Bankitalia, come Fiorani e la sua popolare di Lodi.
Chi qui scrive ammette di non aver troppo sottilizzato né su Ricucci né su Fiorani, alla luce del fatto che le loro scalate comunque mettevano alla frusta intrecci asfittici di imprese gestite solo per la rendita di potere mediatica che garantiscono e non certo per farle crescere e moltiplicarne gli utili – come Rcs – oppure patti di sindacato bancari condivisi da olandesi e spagnoli negli ultimi anni e direttamente responsabili della mala gestio di Antonveneta e Bnl – altrochè gli stranieri banditi per impedirne la temuta efficienza! Ma per quanto teneri si possa esser stati nel giudicare Ricucci e Fiorani, di certo il pieno accostamento tra loro e il mondo cooperativo – di cui Unipol e la sua strategia di graduale crescita sono espressione – è qualcosa che ha semplicemente del rivoltante, tanto è falso e strumentale. Tanto è vero che si ricorre ad argomenti frusti: il più classico è il regime privilegiato fiscale di cui godono le cooperative e che dovrebbe servire ad altro che a scalate bancarie, dimenticando però che tale regime si applica alle cooperative socie di Unipol e non alla loro partecipata che lancia l’opa su Bnl, visto che Unipol è un’assicurazione quotata in Borsa da 22 anni. Un’assicurazione che fu portata in Borsa da Cuccia: il che agli occhi di chi scrive rappresenta una vera e propria garanzia storica, visto che per esempio pertinente si tratta dello stesso banchiere che disse no a come in Borsa voleva entrarci Berlusconi, e per questo gli fece chiudere da un giorno all’altro le linee di credito della Comit e del Credito Italiano, mentre Geronzi correva a salvare Fininvest ottenendone l’imperitura riconoscenza: che conta ancor oggi nelle vicende attuali, eccome se conta, è lei a spiegare perché Berlusconi non possa aver seguito contro Fazio Tremonti prima, e il tardivo e penitente Siniscalco oggi.
Ma il favore con cui il vecchio Cuccia guardò agli inizi e al primo lento dispiegarsi della strategia di risanamento prima e poi di guardingo adocchiamento di prede per poter crescere attuata da Consorte in Unipol, è stato costantemente rinnegato e si è tradotto invece in frontale pregiudizio ostile, da parte della “nuova Mediobanca” degli amici di Montezemolo, Della Valle e Geronzi. Basti ricordare i no opposti a Unipol ogni qualvolta in questi anni si sono aperte partite come quelle di Fondiaria prima e FonSai poi. Consorte ci è arrivato combattendo, al traguardo di rappresentare la terza assicurazione italiana per premi e la quarta per capitalizzazione, e naturalmente questo spiega un’altra delle singolari ragioni che i fustigatori morali puntualmente ignorano: e cioè che l’opa Unipol su Bnl non nasce affatto da un’iniziativa voluta e favorita da Bankitalia come avviene invece per la Lodi su Antonveneta. Consorte e i suoi si decidono quando il contropatto degli immobiliaristi eretto in Bnl contro il Bilbao e Della Valle finisce in stallo, e allora da via Stalingrado si cala la zampata decisiva. Solo un galantuomo a tutta prova come Sergio Siglienti ha dichiarato che non c’è niente di più paradossale che vedere – per la partita Bnl – Fazio incolpato di aver favorito uno sviluppo che ha invece subito.
Il fatto che Consorte abbia preparato un’offerta solida – oltretutto ha avuto settimane di caos mediatico-giudiziario a disposizione, per capire che i documenti da presentare in Bankitalia e alla Consob dovevano essere davvero “a prova di bomba” – lo ha testimoniato venerdì scorso la dichiarazione a sorpresa del presidente di Generali, Antoine Bernheim. Generali è socia nel sindacato Bnl del Bilbao e di Della Valle, dunque se Bernheim dice che l’opa di Consorte riuscirà, non è proprio come se lo dicesse un passante di strada. In più, l’interesse di quella dichiarazione è che Bernheim e i soci francesi che tanto contano nella “nuova” Mediobanca è come se avessero con ciò sparato un colpo di avvertimento: affermando che loro non sono disposti a far di ogni erba un fascio, tanto per compiacere il partito che in Rcs e probabilmente in Antonveneta sembra aver avuto ragione a suon di colpi mediatico-giudiziari. E’ molto interessante, perché offre a Consorte una sponda solida sulla quale appoggiarsi per il futuro: e per solida s’intende anche nei suoi addentellati e corrispettivi francesi, oltre che per gli sviluppi interni a Mediobanca ai quali inevitabilmente assisteremo, quando la caligine sulla doppia opa si sarà dissipata.
Certo è che Unipol non può ancora dormire sonni tranquilli. Il Corriere della sera l’avvisa un giorno sì e l’altro pure. Con paginate come quella di sabato scorso, con un titolo “E alla fine restò solo Consorte” che evoca la strategia di eliminazione dei proverbiali dieci piccoli indiani di Agatha Christie. O con avvisi come quello del giorno successivo, firmato da Massimo Mucchetti; all’inizio un attacco alla partecipation exemption di cui anche Unipol si è avvalsa, per poi passare a un attacco a tutto spiano alla politica fiscale sviluppata da Visco a via XX settembre negli anni di governo. Che con Unipol non c’entra niente, ma chi vuol capire capisca. I Ds servono solo a portar voti, vorranno mica poi credere di aver voce in capitolo nell’intreccio banco-industriale di quell’Italia sfolgorante di successi incarnata dall’attuale Confindustria? Al partito della questione morale in casa altrui, va bene solo il Montepaschi: bravi diessini che restano chiusi a finanziare il Palio, e amici dei savonarola margheritici.