Il luogo è la California assolata della seconda metà degli anni ’90: Serj Tankian, voce, Daron Malakian, chitarre, Shavo Odadjian, basso e John Dolmayan, percussioni, si riuniscono per formare una band di quello che, vista la data sul calendario, rischia di venire etichettato come Nu-Metal.
Tuttavia, anche se nati e cresciuti nella terra del surf, del deserto e del futuro governatore Terminator, i quattro hanno coordinate cultural-musicali ben più vaste, a cominciare dalle ben salde radici armene delle loro origini. Il risultato di questo mini-melting pot è talmente fuori dagli schemi, pur suonando perfettamente metal, da imporli all’attenzione della Città degli Angeli con il solo passaparola; e un demo di soli tre brani li porta in giro per States, Europa e Nuova Zelanda. Messi sotto contratto dalla American e distribuiti dalla Columbia, nell’estate del 1998 danno alle stampe il loro esordio: “System Of A Down” conquista la scena con l’incredibile melange di metal, etnica e quant’altro riscalda l’animo di questi quattro personaggi; il successo è tale da consentire al gruppo di rimandare il seguito al 2001, anno di “Toxicity” che ne perfeziona e raffina lo stile; e al 2002, con “Steal This Album” antologia di outtakes (già “piratate” in rete) che nulla ha da invidiare a un album ufficiale. In mezzo, il gruppo non abbandona l’impegno politico e sociale profuso nei testi e avvia progetti collaterali: Malakian fonda l’etichetta eatURmusic e Tankian la Serjical Strike, collaborando poi con il musicista folk armeno Arto Tuncboyaciyan nel progetto Serart.
Il 2004 li vede nuovamente in studio per una lunga serie di session sotto la regia del produttore Rick Rubin: il nuovo lavoro è un full-lenght doppio, la cui prima parte, “Mesmerize”, è uscita nello scorso maggio (totalizzando, solo nella prima settimana, la bellezza di 800.000 copie vendute) e la seconda, “Hypnotize”, è prevista per il prossimo Novembre. La divisione in due tempi – da racchiudere eventualmente in un’unica confezione, a quanto pare – non è che la prima delle particolarità di questo lavoro. Le altre risiedono in uno stile ancora più multietnico e multigenere, senza rinunciare all’amata pesantezza metal; e in un tono più ironico dei testi, sempre profondamente impegnati, ma spinti sino al confine di un (apparente) nonsense. Dagli States alla televisione, dalla pornografia al terrorismo, da Hollywood alle droghe, “Mesmerize” sembra fare l’inventario delle assurdità del mondo globale, cantato al ritmo di un gigantesco frullatore (di quelli che, negli anni ’60, facevano tanto simbolo del benessere) che omogeinizza metallo e melodie alla Kusturica. Per ovvi motivi, il giudizio finale dovrà essere rimandato all’ascolto della seconda parte; senza scomodare roboanti aggettivazioni o paragonarlo direttamente ai precedenti lavori dai quali differisce in spirito, “Mesmerize” ha una propria qualità e un punto di forza nell’agilità invero singolare con la quale i S.O.A.D. macinano l’intero immaginario musicale di ieri e di oggi. Per gli stessi motivi potrebbe parimenti risultare irritante, ma è un rischio che i quattro “californiani” sanno correre ed evitare con grande senso della misura. E a valere definitivamente l’onere del prezzo è la semplice domanda che ricorre in “B.Y.O.B.” (Bring Your Own Bomb): “Why Do They Always Send The Poor?”.