Il modo in cui la prova di forza tra Casini e Berlusconi si è improvvisamente risolta con l’accordo sulla legge elettorale ricorda un celebre dialogo di Pulp Fiction. Quello in cui due killer professionisti, un minuto prima di entrare nella stanza d’albergo in cui uccideranno a sangue freddo due persone, discutono animatamente implicazioni morali e ragionevolezza del comportamento del loro capo, che ha fatto scaraventare dalla finestra un loro collega colpevole di aver praticato un massaggio ai piedi alla sua fidanzata. Discussione che si sposta rapidamente verso la domanda se in qualche modo l’incauto massaggiatore dovesse aspettarsi una simile reazione e se tale reazione fosse o meno commisurata all’offesa subita. E infine, se un massaggio ai piedi sia comparabile a un adulterio, se costituisca un’infrazione del codice d’onore magari meno grave ma comunque dello stesso tipo, o se invece – rispetto all’adulterio – un banale massaggio ai piedi “non sia affatto lo stesso campo da gioco, non sia lo stesso campionato e non sia nemmeno lo stesso sport”.
Dopo averci spiegato per quasi un anno come ai moderati dell’Udc ripugnassero sinceramente le leggi ad personam di Berlusconi e l’estremismo leghista sulla devolution, invocando continuamente decisi cambi di rotta, Pier Ferdinando Casini ha chiuso un accordo per votare negli ultimi quattro mesi della legislatura sia la devolution leghista sia la legge salva-Previti, a patto che insieme a queste il parlamento approvi a maggioranza anche una riforma della legge elettorale che l’opposizione giudica non a torto come una truffa in piena regola, pensata e disegnata com’è al solo scopo di favorire il centrodestra e danneggiare il centrosinistra un minuto prima dell’apertura dei seggi. L’infinita discussione animata dai moderati della Casa delle libertà sull’importanza del dialogo con l’opposizione, sulla necessità di abbandonare la linea dello scontro istituzionale al fianco della Lega e al seguito degli interessi giudiziari del premier, si è improvvisamente interrotta sulla soglia della legge elettorale, quando entrambi i contendenti hanno deciso di aprire la porta a calci e fare fuoco sulle poche possibilità residue di vedere una campagna elettorale meno avvelenata e un finale di legislatura improntato a una responsabile dialettica politica tra governo e opposizione.
Dinanzi a un centrodestra composto di quattro partiti tutti o vicini o sopra la soglia del 4 per cento e a un centrosinistra ricco invece di formazioni più piccole, gli strateghi della Casa delle libertà hanno pensato bene di confezionare una legge proporzionale incentrata sul meccanismo delle soglie minime per entrare in parlamento, al di sotto delle quali i voti raccolti dai partiti possano essere allegramente espunti dal calcolo dei seggi. Non c’è nemmeno bisogno di addentrarsi nei dettagli tecnici di una simile trovata, perché anche un bambino è in grado di capirne il significato senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Ma soprattutto perché il vero scandalo non è nella legge in sé, nel come e nel perché è stata concepita, ma nel precedente che si verrebbe a creare. Il vero scandalo è che si sancisca il principio secondo cui una maggioranza può decidere di cambiare la legge elettorale a proprio piacimento, incurante delle proteste dell’opposizione, ogni qual volta a pochi mesi dal voto si renda conto di non avere i consensi necessari per vedersi confermata al governo dagli elettori attraverso lo stesso meccanismo con cui è stata eletta. Il vero scandalo è che si sancisca il principio secondo cui una squadra, a un minuto dal fischio d’inizio, può decidere autonomamente di cambiare le regole del gioco e stabilire che valgono solo i gol di testa, qualora si renda conto che in qualsiasi altro modo perderebbe la partita.
Giunti a un simile livello di degrado politico e civile, accorrere in massa alla manifestazione di protesta annunciata per domenica dal centrosinistra è davvero il minimo che si possa fare, ci si senta intimamente di sinistra, di centro o di destra. Perché un simile precedente, una volta sancito, non sarà più revocabile e potrà essere utilizzato da qualsiasi maggioranza. E non crediamo davvero ci sia bisogno di spiegare cosa significherebbe per la politica italiana il disporre di una simile carta da giocare alle prime difficoltà. L’accordo improvvisamente trovato tra Pier Ferdinando Casini e Silvio Berlusconi la dice lunga sulla linearità di certi rappresentanti dell’Italia moderata. Ci auguriamo che i rappresentati, per una volta, si preoccupino di spiegare loro che una simile trovata non ha nulla a che vedere con le sagge parole pronunciate sino a oggi sulla necessità del dialogo e sul valore della moderazione: non è lo stesso campo da gioco, non è lo stesso campionato e non è nemmeno lo stesso sport.