La crisi silenziosa del centrodestra

È sempre rischioso trarre considerazioni nazionali dal dato particolare di una sola regione, in ogni caso influenzato da storie e dinamiche locali che non è possibile ignorare. Tuttavia, il risultato del Friuli Venezia Giulia, in cui il centrosinistra guidato da Debora Serracchiani ha prevalso di misura sul centrodestra dell’uscente Renzo Tondo, ci ha offerto qualche prima indicazione sperimentale sul sentimento politico dopo questi due ultimi, confusi, mesi.

Chi si stupisce della non sconfitta del Partito democratico nelle ore della sua crisi più grave è infatti chi ha dimenticato il grande innominato del discorso politico italiano: la pluriennale, straziante agonia del Pdl e della Lega. Fuori dalla lente d’ingrandimento dell’ossessione dei commentatori politici nazionali per i tormenti dell’unico vero partito rimasto, il Pd, avanza nel paese un fenomeno forse più preoccupante per la tenuta democratica del paese, ovvero lo sfaldamento e l’emorragia di consensi del centrodestra. Così, mentre il Pd ha probabilmente pagato a caro prezzo le convulsioni romane (meno centoquarantamila rispetto al 2008), l’emorragia del centrodestra (duecentomila voti in meno) è stata sufficientemente ampia per perdere la regione.

L’altro dato che salta agli occhi è l’ennesima conferma che Grillo non intercetta l’astensione. Il pessimo spettacolo offerto “dalla casta” in sessione plenaria, “inciucio” incluso, non si è tradotto in un massiccio travaso di consensi verso il Movimento 5 Stelle, che anzi perde punti e soprattutto voti assoluti (rispetto alle politiche). Ha pagato così la transizione dal voto nazionale d’opinione alle dinamiche locali o forse i primi costi della propria inefficacia. In fondo, cosa ha ottenuto il Movimento 5 Stelle fin qua? L’unico successo che può e ama rivendicare è aver “mandato a casa” vari notabili del Pd, ovverosia aver reso più appetibili gli avversari al proprio elettorato. In sintesi, ora che abbiamo i primi numeri (non sondaggi, ma solide realtà elettorali), pare abbastanza chiaro che il prossimo giro lo vincerà chi riuscirà a riportare i propri al voto. Come farlo è e sarà al centro del feroce scontro interno ai partiti ancora per molti mesi.

Siamo convinti che abbia maggiori chance di spuntarla il primo che riuscirà a prendere per mano il dibattito pubblico e accompagnarlo fuori dal loop in cui è fermo dal 1992. In fondo, gli elettori vivranno nel 2014 e potrebbero trovare più interessanti proposte economiche e sociali adatte al settimo anno della Grande crisi, piuttosto che l’ennesima riforma riformista del sistema politico. Non ci si illuda però che il discorso riguardi solo la sinistra: se la riorganizzazione ideologica e comunicativa del centrodestra arriverà per prima, Berlusconi o chi per lui potrà tenere il paese saldamente a destra ancora per molti anni.