Follini, se ce lo dicevi prima

E’ tenerissima questa corsa alla difesa di Marco Follini. Che è “vittima della normalizzazione berlusconiana” (Rutelli) e che ha compiuto un “atto di dignità e responsabilità politica” (Violante). E lo avremmo difeso anche noi, se soltanto avesse azzeccato i tempi del gran gesto. Adesso ci pare francamente un po’ tardi.
Avrebbe potuto fare prima tante cose Follini. Tipo il puro a tempo debito, cioè quando era costretto a votare le leggi di Berlusconi obbedendo come l’ultimo degli ascari. Avrebbe potuto – il duro Follini – uscire dal Governo, impedendo al suo fratello coltello Casini di pugnalarlo alla schiena (altro che “normalizzazione berlusconiana”).
Certo, adesso è ozioso ragionare in questi termini. Follini ha voluto combattere la battaglia fino in fondo e a modo suo, l’ha persa e dunque ha tratto le conseguenze. Ma perché, a battaglia ormai perduta, non ha sbattuto la porta prima della discussione alla Camera sulla legge elettorale? Se è vero che non gli piaceva poteva benissimo – con un “atto di dignità e responsabilità politica” – andarsene quando i giochi potevano ancora essere (forse) ribaltati.
Berlusconi non c’entra, ha detto dimettendosi da segretario dell’Udc. “Il problema – ha attaccato con cipiglio – siamo noi. Il problema è se i nostri propositi sono di pastafrolla”.
Appunto.