Con “Stabbing The Drama” (’05) gli svedesi Soilwork giungono all’ottavo capitolo di una carriera aperta nel ’97 dal demo tape “In Dreams We Fall Into The Eternal Lake” e proseguita con i full-lenght “Steelbath Suicide” (’98); “The Chainheart Machine” (’99); “A Predator’s Portrait” (’01); “Natural Born Chaos” (’02); “Figure Number Five” (’03); includendo anche la raccolta di rarità “The Early Chapters” (’03, con la cover di “Burn” dei Deep Purple).
Caratteristica principale del gruppo è il sound volto a unire differenti stilemi metal: dal tipico, brutale death-metal nordico al trash; dalle sonorità power anni ’70 alla New Wave Of British Heavy Metal dei primi anni ’80; dal Metalcore al Nu-metal. Parti vocali in chiaro alternate al consueto canto gutturale e inserti campionati completano la tavolozza stilistica di questa band.
“In Dreams” li impone subito all’attenzione della piccola Arch Enemy di Michael Amott che farà da apripista per il passaggio, in crescente successione, alla Listenable Records, alla Century Media e infine alla Nuclear Blast, vera e propria “major” del metallo. Il nucleo storico è formato dal chitarrista Peter Wichers e dal cantante Bjorn “Speed” Strid, ai quali si sono aggiunti, nel corso del tempo, il secondo chitarrista Ola Frenning, il bassista Ola Flink, il tastierista Sven “Mishrack” Karlsson e il percussionista Dirk Verbeuren; questa la line-up che firma il nuovo lavoro, forse il più vicino – per atmosfere e sonorità – agli esordi, dopo le progressive aperture sperimentate da “Chainheart” in avanti, sino alla svolta “melodica” di “Figure Number Five”, accolta come un mezzo passo indietro rispetto al perfetto equilibrio di “Natural Born Chaos”. “Stabbing” conferma la vocazione dei Soilwork per l’eclettismo musicale a scapito della rassicurante formula; e la tendenza a preferire il rischio dell’eccesso (di ingredienti), piuttosto che adagiarsi nella fedele osservanza del canone. Questo spiega come, all’interno del medesimo lavoro, atmosfera e qualità oscillino tra riferimenti e gradazioni diverse: dall’iniziale, accattivante title-track alle brutali “Stalemate” e “Blind Eye Halo”; passando attraverso le più rilassate “Nerve”, “The Crestfallen” e “Observation Slave”; in generale, “Stabbing” mantiene un tono più aggressivo rispetto al diretto predecessore, senza rinunciare a intermezzi melodici – non improvvisi e non fuori tema. Il risultato finale, indipendentemente dalla maggiore o minore ispirazione rispetto ai migliori episodi della band, è apprezzabile soprattutto rinunciando a purismi di sorta: i Soilwork non dimenticano d’essere una death-metal band ma preferiscono la contaminazione alla rigidità schematica; l’equilibrio imperfetto di questo lavoro può essere visto più come una ricchezza che come un difetto. Con un nome scelto proprio per definire il sound e dove “soil” può essere tradotto come “suolo” ma anche come “sporco” (nel senso di “non raffinato”), la band applica il principio della rotazione della semina, una pratica il cui risultato principale è quello di mantenere nel tempo la fertilità del terreno.