Una lunga attesa, domenica, per i risultati delle primarie. Diversa da quella delle solite giornate elettorali. Il 16 ottobre è stata una giornata di festa – sarà perché il risultato si conosceva già, perché da subito le proporzioni sono apparse notevoli, perché in fila si trovavano solo compagni e amici. Una festa vissuta pienamente e solo in parte mostrata dalla tv. Chi è andato in giro per seggi ma anche chi ha vissuto la propria giornata come d’abitudine, le primarie le ha incontrate. È stata un’esperienza collettiva, condivisa, allegra. Non solo le asettiche scuole, nella neutralità forzata del silenzio da campagna, né le sedi di partito. Per un giorno nella politica è entrata la vita: i bar, le librerie, i teatri, le piazze, la quotidianità, la gente. La vita di quattro milioni di persone che nessuno aveva previsto, costretti a lunghe file, a votare sulle fotocopie, a scelte non sempre entusiaste.
Ma è un po’ come per la notte bianca: anche se non vedi nulla, anche se stai in fila, anche se non tutto è perfetto e se non tutto è entusiasmante, l’importante è esserci. Ed essere in tanti, non per contarsi – che pure, scusate la ridondanza, conta – quanto per sentirsi. Sentirsi, per un giorno, comunità. Intorno a una coalizione, seppur con i soliti distinguo inutili e fuori tempo. Intorno ai partiti. E, soprattutto, intorno a un leader che si afferma, per chi l’ha votato e per chi non lo ha fatto, come unico punto di riferimento. Quello delle primarie è stato un voto dal chiaro carattere maggioritario. Non tanto perché le primarie esistono solo nelle democrazie regolate da quel sistema, ma per come il doppio quorum è stato raggiunto e superato. Il plebiscito per Prodi è stato oltre misura, ma ancor più sorprendente e impressionante è il dato di affluenza, che nessuno – e non crediamo solo per uno strategico non puntare troppo in alto – aveva immaginato. I quattro milioni sono consenso maggioritario, per sostenere un leader e per difendere il proprio diritto/potere di scelta, in una dinamica non più antipartitica, ma di superamento della forza organizzativa dei partiti stessi. Prodi è l’eroe che ha ricevuto, come richiesto, il mandato popolare. E’ il primo passo di uno schema narrativo che l’Unione propone nella sua massima semplicità e sequenzialità logica. Si inizia, come sempre, con la manipolazione, la stipula di un contratto fiduciario tra cittadini destinanti di valori-obiettivi ed eroe. Seguirà la fase delle competenze – personali e di gruppo, politiche e umane – da affermare e quella delle performanza da mettere in atto. Mesi da riempire per poter trasformare la manipolazione ottobrina in positiva sanzione primaverile. Ma cosa succederà adesso? Come negli Usa, la conclusione delle primarie porterà nell’opinione pubblica un effetto onda. Ma la campagna è lunga e l’avvenuta manipolazione, per quanto di grande impatto, non garantisce automaticamente un seguito positivo alle successive fasi narrative (competenza, performanza e sanzione). Oggi, nella fase iniziale della campagna, è il momento di mettere a frutto l’entusiasmo della partecipazione. Ed è qui la chiave di lettura comunicativa del risultato delle primarie. Non accontentarsi di un benefico ma generico effetto bandwagon, con l’opinione pubblica orientata a credere nel successo dell’Unione. Quello delle primarie non è infatti un voto di delega in bianco. La gente, superando ogni attesa, si è ripresa per un giorno il potere della politica: un potere attivo, che nulla ha a che fare con il contratto vespista di Berlusconi del 2001, in cui la fiducia era un “sì” occasionale in una passività che il Cavaliere non aveva alcun interesse a riattivare.
Oggi quattro milioni di italiani mostrano di voler credere di nuovo alla politica. E’ l’avvio fiducioso di un percorso. Qualcosa di più di un effetto di immagine. Una scommessa, comunicativa e partecipativa. Prodi archivi il proprio 74 per cento e si concentri su quei quattro milioni. Dimostri di essere prode (come invitava uno dei giallini di Bertinotti), si carichi di tale sostegno, non lo disperda inseguendo sondaggi e classifiche di immagine. L’indicazione delle primarie, viste con la lente della comunicazione, è questa: no agli spot, sì a quattro milioni di comitati elettorali.