Una ragione dovrà pur esserci se in questo paese il più ascoltato commentatore politico si chiama Adriano Celentano. Ieri Rutelli affossava la lista dell’Ulivo sostenendo che i Ds e Prodi intendevano forzare verso il partito unico; oggi lo stesso Rutelli si dice disponibile alla lista unitaria purché sia il primo passo verso il partito unico. Chi lo capisce è bravo.
Quanto a noi, che bravi non siamo, lunedì 20 giugno scrivevamo mestamente: “E così la lista unitaria non si farà, i partiti del centrosinistra correranno nel proporzionale ognuno con il proprio simbolo e il progetto di una nuova formazione politica che riunifichi e dia forza ai tre principali filoni del riformismo italiano è rimandato a data da destinarsi. Male”. Figurarsi se ora non ci fa piacere sentir parlare di partito unico, anche se noi preferiamo chiamarlo riformista e Rutelli preferisce chiamarlo democratico. Fosse questo il problema, basterebbe chiamarlo Partito democratico riformista, che suona anche bene.
Per lunghi mesi siamo rimasti in pochi a criticare tutti i partiti del centrosinistra per avere abbandonato la strada della lista unitaria (come ha fatto Rutelli) o per avere rinunciato ad andare avanti con chi era disponibile (come hanno fatto Fassino, D’Alema, Prodi). A rendere improvvisamente scontato quel che prima sembrava impossibile hanno pensato i quattro milioni e trecentomila elettori che hanno votato alle primarie. In particolare quei tre milioni abbondanti che hanno votato Prodi, dimostrando l’esistenza di una base di consenso e di autentica militanza politica per quel partito riformista che i gruppi dirigenti esitavano a costruire. Ma abbiamo ragione di temere che all’indomani della vittoria elettorale quelle esitazioni torneranno a emergere.
A un passo dalla campagna elettorale, statene certi, tornerà in campo il partito dei perfezionisti: quelli che vogliono il bipolarismo, ma di fronte a questo maggioritario così imperfetto è meglio tornare al proporzionale; quelli che vogliono una sinistra riformista più unita e più forte, ma per raggiungere l’obiettivo in modo coerente e senza fare confusione è meglio tenersi una sinistra riformista più divisa e più debole; quelli che vogliono la modernizzazione del paese, purché non si irritino la Conferenza episcopale italiana e la Confindustria.
Grandi giornali, maitre à penser e intellettuali à porter torneranno presto a levare alta la loro voce contro le nostre imperfezioni. Troppe munizioni sono state accumulate in questi mesi per illudersi che la straordinaria vittoria delle primarie basti ad assicurare il successo dell’ipotesi unitaria che si è improvvisamente riaperta. Per garantire un simile esito, occorrerebbe che quei tre milioni di elettori ne portassero molti altri e tutti insieme assicurassero una maggioranza schiacciante all’Unione in entrambe le camere, nonostante la vergognosa legge civetta approntata dalla Casa delle libertà al solo scopo di rendere ingovernabile il paese. Occorrerebbe che milioni di persone votassero per la lista dell’Ulivo trascinando con sé tutte le incertezze e le paure dei gruppi dirigenti. Perché ancora una volta, quale che sia l’esito delle discussioni su programma e identità di nuovi futuribili soggetti politici, starà agli italiani sciogliere il nodo. Ed è ragionevole che sia così, se il tema non è la maggiore o minore aderenza di un progetto astratto ai canoni di questa o quella tradizione storico-politica – tema certamente più adatto ai convegni degli intellettuali e alle pagine culturali dei quotidiani – ma la sua capacità di rispondere a un’esigenza del paese, tema che invece a quegli interlocutori è sommamente inadatto. Il congresso di fondazione del nuovo partito si terrà dunque davanti alle urne delle prossime elezioni politiche. La mozione riformista è messa ai voti.