Cara Left Wing,
la storia di questa settimana parla di sesso. Ci ho pensato su un po’ prima di scriverla e mandartela, poi mi sono detto che hai lettori adulti e anche che, santocielo, si dovrà pur fare qualcosa per portare traffico al sito. E quindi.
Per il lavoro che faccio di città in giro per il mondo ne ho viste, e posso dire con certezza che nel campione di mia conoscenza solo Las Vegas batte Shanghai per industrializzazione della prostituzione. Sì, certo, il Red Light District di Amsterdam. Ma quello ormai è folklore, viene inserito nei giri dei tour operator, se ci fossero le strade abbastanza larghe ci manderebbero i bus scoperti con la guida che urla nel microfono: “Alla vostra destra la famosa Janine, e poco più avanti addirittura due gemelle che fanno questo lavoro da quando avevano diciotto anni”. Qui invece ci sono migliaia di centri massaggio, praticamente in ogni parte della città, e immagino di non dover spiegare la vera attività.
Non so quali siano gli usi e costumi degli indigeni, non ho abbastanza confidenza e tantomeno conoscenza della lingua per informarmi direttamente: so che a noi occidentali basta mettere piede alla Concessione Francese, o nel rettangolo lungo tre chilometri e largo tre-quattrocento metri che parte dalla North-South Elevated Road e arriva fino al Bund per essere oggetto di un’offerta ampia, variegata e insistente, ma con alcune particolarità: prima di tutto, non è mai la ragazza a offrirsi; lei non la vedi proprio. Ti si avvicina qualcuno, più spesso un uomo o un ragazzo, ma non raramente una donna, e con fare a volte da spia, altre da spacciatore, talvolta da amicone che vorrebbe andare con te a farsi un cicchetto ti dice: “Hi, do you want massage? Lady-sex-massage?”. Lo fanno solo con gli uomini, soli o in gruppo, se stai camminando insieme a una donna non ti si affiancano mai. Ma se sei da solo, beh: la media è di un’offerta ogni qualche decina di passi, a seconda degli orari e dei giorni della settimana anche di più (stasera mi sono preso la briga di contare: diciannove proposte in venticinque minuti; in realtà venti, ma uno non sembrava tanto convinto e ho deciso di non considerarlo).
Come a Las Vegas hanno le figurine delle ragazze, ci tengono a farti sapere che sono giovani, che il centro massaggi sta a pochi minuti, aprono il palmo della mano ed eccole lì, uguali in tutto e per tutto alle loro colleghe del Nevada, un rettangolino di carta colorata, una posa ammiccante, uno slogan di incoraggiamento; ti fanno vedere le cinesi, ma è cosa nota che c’è un afflusso enorme di prostitute dalla Russia e da tanti stati e staterelli dell’ex Unione Sovietica. Di solito devi dire no dalle tre alle cinque volte prima che desistano e vadano a cercare un altro potenziale cliente, uno che non abbia gli occhi stirati e sia quindi per ciò stesso abbiente e voglioso; a volte ne servono di più, forse è stata una giornata magra, chissà.
Non è un granché come storia, cara Left Wing, lo so: non ha morale e non è nemmeno amorale. C’è però un episodio che a suo modo mi è sembrato, come si dice, emblematico, e che mi ha fatto pensare a tanta gente che conosco o che ho incrociato in Italia, durante i venti lunghi anni berlusconiani e soprattutto gli ultimi, quelli del priapismo senile. Ero con un collega, camminavamo sul marciapiede opposto a quello del Fairmont Peace Hotel, e ci è venuto incontro questo ragazzo; ha fatto la sua offerta lady-sex-massage e noi non abbiamo risposto, continuando a parlare come se niente fosse, ma lui non si è dato per vinto: “Ladies, nice, young ladies”. Allora io ho detto no, lui ancora massage-massage, e il mio collega ha detto no, e insomma saremo andati avanti così per venti, venticinque metri, fino a quando lui ha fatto una faccia che non si capiva quanto fosse arrabbiata e quanto incredula per il nostro rifiuto, ha allargato le braccia come a dire “no, ma scusate, state scherzando vero? vi rendete conto?” e poi è sbottato nel suo inglese rabberciato ma efficace: “Ma siete uomini!”. E in quelle poche parole, non so perché, ci ho visto un pezzo di ritratto del posto dal quale vengo, e nel quale per un momento mi sono ritrovato.