Parallelismi teleculturali

Insegnanti. Ma allora è vero, c’è stato un tempo in cui la televisione è stata al servizio delle idee – non le idee pedagogiche italiane né quelle obiettive inglesi – della politica non parlata, della filosofia. Un tempo in cui le immagini sono state al servizio – per fare immaginare – delle parole e non ancora sanguisughe che le parole prosciugano – facendone vedere ogni particolare connotazione. Le lezioni parigine di Gilles Deleuze, nello spazio Fuoriorario di Raitre, ci rimbalzano d’improvviso ai nostri tempi – così lontani da quelli di Deleuze, che pure desideriamo così da vicino – e agli eroi che li popolano: non siamo né saremo intellettuali e studenti nel senso sociale del termine, siamo amici-di-Maria. È lei il demiurgo di oggi, quella che ci insegna e ci corregge, che ci spinge alla sfida e ci incita al confronto, la maestra severa, amichevole, pettegola.
Intellettuali. Ad alcuni sono capitati intellettuali pensanti e capaci di capire e usare le immagini, cinematografiche e televisive (che oggi ci permettono di conoscerli più dei libri), come Pier Paolo Pasolini, la cui morte, perché esattamente trent’anni fa, lo riporta oggi in tv. A noi è toccato Aldo Busi che recita, danza e commenta da Amici libri, parole ritmate e cantate, che il buon Aldo (“buon Aldo”: chi avrebbe osato scrivere lo stesso per Pasolini) si impegna a trasformare in immagini, rendendole piatte e stanche – e rendendo il programma, nonostante l’iniziale e fuggevole letizia per i libri nel pomeriggio sacro di Maria, sopportabile senza noia per non più di venti secondi.
Predicatori. Da noia a noia. Da successo a successo. L’avrà fatto apposta Giuliano Ferrara a convocare la manifestazione bipartisan pro-Israele in concorrenza con Celentano? Ferrara organizza un grande evento mediatico e politico, costruito nel modo più facile: con un messaggio che nessuno poteva non condividere – e anche chi lo ha fatto lo ha dimostrato, facendo il gioco dell’Elefantino. Un evento che fa agenda e occupa aperture e prime pagine per un paio di giorni. Messaggio nobile, manifestazione facilmente riuscita. Ma ci resta un piccolo dubbio, ovviamente non sul messaggio, ma sulla forma della manifestazione, ancora autoreferenziale ed evanescente. Di cosa si parlava nelle pause caffè il giorno dopo? Della democrazia versione Celentano, del duetto surreale con la Bertè, dello sputo di Patti Smith, di Crozza-Guccini, di un programma noioso e di successo.
Mentre la scaltra abilità politica del predicatore-intellettuale occupa il sistema con la laicità trasversale di una presa di posizione civile e politica, il demagogico qualunquismo, “pre” più che anti-politico, del predicatore dall’italiano precario occupa l’immaginario con la sacralità della banalizzazione (che non è semplificazione della forma, ma prosciugamento dei contenuti).
Cambiamenti antropologici che, l’abbiamo visto in tv, i vecchi intellettuali avevano intravisto. E che, lo vediamo in tv, i nuovi tuttologi interpretano. E i politici? >