L’ asse franco-tedesco è divenuto l’impasse franco-tedesca. Gerhard Schröder è uscito di scena, ma il governo di Grosse Koalition guidato da Angela Merkel sembra ben lontano dalle promesse rivoluzionarie – rispetto all’asse di cui sopra – che avevano fatto sognare i suoi primi sostenitori. Il lungo programma sottoscritto da Spd e Cdu, non a caso, parte dall’innalzamento delle tasse e dalla riduzione delle riserve auree, come un banalissimo governo di minoranza italiano. Dall’altro lato dell’asse, l’uragano che viene dalle banlieue ha messo in crisi la presidenza Chirac. E la stampa americana si prende la sua rivincita. Il Washington post ricorda ai colleghi di Le Monde una vignetta di Plantu che raffigurava il presidente americano di fronte alle immagini dell’uragano Katrina che esclamava: “Dove si trova quel paese? E’ lontano? Dobbiamo subito intervenire”. Ma Bush ci mise due giorni a reagire all’emergenza, osserva ora Anne Applebaum, Chirac undici. Al dibattito sulla crisi del modello americano dinanzi a New Orleans sommersa dalle acque segue il dibattito sulla crisi del modello francese dinanzi a Parigi catturata dalle fiamme. La verità è che i due grandi contendenti della politica internazionale post-11 settembre sembrano oggi avviarsi al tramonto insieme, come i duellanti di Conrad, esausti e forse persino dimentichi delle ragioni originarie della loro inimicizia.
Nella democratica Francia, patria della Rivoluzione e dei Diritti dell’Uomo, vengono decretati il coprifuoco e il divieto di assembramenti nella capitale. Negli stessi giorni, però, i militanti socialisti decretano la sconfitta di Laurent Fabius, l’ex delfino di Mitterrand tramutatosi in no global al referendum sulla Costituzione europea. Il pessimo risultato della sua mozione, in vista del congresso del Ps che si terrà tra pochi giorni a Le Mans, è una delle poche buone notizie che arrivano in questi giorni dalla Francia, ma non delle meno significative. E forse è una buona notizia anche la duplice crisi dei duellanti che in questi anni hanno paralizzato il mondo, in una piccola guerra fredda con l’Europa – o se vogliamo con la piccola Europa a guida franco-tedesca – nei panni farseschi della vecchia Unione sovietica. Il segnale venuto dal Partito socialista francese potrebbe rivelarsi significativo proprio in questo senso: il venir meno di quel contesto, in quel gioco di interdizione reciproca a più lati tra Usa, Gran Bretagna e Ue, libera innanzi tutto la sinistra. Ed è la sinistra riformista che può riprendere a respirare e a fare politica a tutto campo, adesso, allontanando da sé le pulsioni insieme antieuropee e antiamericane che non a caso avevano preso il sopravvento nella stagione della piccola guerra fredda.
Il mesto avvio di quello che avrebbe dovuto essere il governo della riscossa liberista in Germania segue di pochi giorni le notizie sulle serie difficoltà incontrate in patria da Tony Blair con le misure antiterrorismo bocciate dal parlamento (e dopo il fallimentare bilancio della presidenza britannica dell’Ue). Messe da parte le opzioni estreme e gli argomenti di propaganda, l’Europa si trova di nuovo sola con se stessa. Le periferie francesi e le periferie della globalizzazione in Medio Oriente bruciano per ragioni diverse, ma bruciano entrambe. L’affievolirsi dell’influenza americana per gli scandali legati alle informazioni sulle armi di Saddam e per i disastrosi risultati della sua politica estera, insieme al vistoso indebolimento della sua intera rete di alleanze – da Berlusconi alla Merkel, passando per Blair (e per tacere di Aznar) – libera la politica europea e specialmente la sinistra riformista dall’abbraccio mortale con Chirac. Ma lascia intatti i problemi sul tappeto, che ora sta a lei risolvere.