Il congresso dei socialisti francesi si è concluso con due parole che dovrebbero suonare tristemente familiari alle orecchie di qualunque militante della sinistra italiana: sintesi unitaria. Il segretario François Hollande si è candidato così all’Eliseo, in una corsa già affollata di dirigenti più e meno illustri (compresa sua moglie Ségolène Royale) che sembra perdere ormai ogni consistenza politica. La sintesi unitaria ha raccolto oltre il 92 per cento dei voti tra i delegati, espressioni delle correnti che in questi mesi hanno dilaniato il partito, in particolare dopo il referendum sulla costituzione europea e la scelta compiuta da Laurent Fabius di schierarsi per il no insieme alla sinistra interna. All’indomani del Big Bang, che tra l’altro ha portato alla sua estromissione dalla direzione, l’ansia della ricomposizione ha prevalso sulle stesse ragioni della divisione, determinando la mesta conclusione unitaria.
Sul tema più delicato, il referendum sul Trattato europeo, il documento invita a superare il “sì” e il “no” perché “la volontà popolare deve essere rispettata”. Il Ps chiede “un’Europa più politica e più sociale”, un “nuovo testo costituzionale” e un “controllo democratico della Bce”. Proposte velleitarie, demagogiche e inconsistenti, impastate in quella retorica populista che da anni avvelena il partito socialista. I fabiusiani ottengono non solo la “presa d’atto del rifiuto della Costituzione europea” e l’impegno solenne al “rispetto del voto del 29 maggio”, ma anche la promessa abrogazione delle riforme “di sistematica distruzione delle conquiste sociali” volute dalla destra. E ancora l’impegno affinché il colosso dell’energia Edf “ritorni al 100 per cento pubblico”. Si chiude dunque con il raddoppio del budget dell’Unione, da finanziare – ça va sans dire – con una nuova imposta europea. Resta da chiedersi quale motivazione politica, al di là della lotta personale per il potere, giustifichi la scelta di mantenere Laurent Fabius fuori dalla direzione di un simile partito.
Tutte le forze della sinistra radicale, anche in Italia, potranno ora tornare a guardare con compiacimento al Ps, come e più di quanto fecero già ai tempi di Lionel Jospin (del quale non a caso si ritorna a parlare per l’Eliseo). Aggiungendo alle proposte dei socialisti quelle dei loro avversari e soprattutto l’avvio non certo rivoluzionario del nuovo governo di grande coalizione in Germania, la paralisi di quello che un tempo era il motore franco-tedesco della costruzione europea non potrebbe essere più completa. Nel momento in cui l’influenza americana e la stessa stella di Tony Blair appaiono almeno parzialmente eclissate, la sinistra non sembra in grado di assumere la guida dei processi politici in atto. L’arretratezza ideologica e culturale del congresso francese, in una simile deriva populista e passatista, appare infatti come la migliore controprova che le interessate analisi dell’Economist o del Wall Street Journal possano ottenere. La crisi del modello sociale europeo rimane così sospesa – nel cuore del continente – tra l’assiomatica ricetta anglo-americana e la propaganda di una sinistra debole e ripiegata su se stessa, incline a ritrovare certezze in quelle stesse parole d’ordine che hanno portato l’Europa allo stallo economico e sociale.
In questo cupo scenario, la controversa decisione di puntare alla VI Repubblica appare come la copia sbiadita dell’infatuazione nuovista dei progressisti italiani nei primi anni novanta. Prima di dedicarsi anch’essi al delicatissimo tema delle riforme istituzionali, i compagni francesi farebbero bene a occuparsi piuttosto di riformare se stessi. Il solo Michel Rocard, alla vigilia dell’accordo unitario, si era pronunciato contro l’ipotesi e a favore di una scelta di chiarezza. Ancora una volta è rimasto inascoltato, secondo quello schema che egli stesso ha perfettamente riassunto nel suo ultimo libro e che l’intera sinistra europea dovrebbe mandare a memoria con crescente preoccupazione: “Alla prima difficoltà, ricadiamo nel populismo”. Rocard si riferiva naturalmente ai socialisti francesi. Ma c’è da augurarsi che nessuno, in Italia o altrove, abbia la bella pensata di aggrapparsi a loro.