Non arriveremo a dire che Anna Falchi è una di noi. C’è un limite, prettamente anatomico, alla solidarietà femminile. Ma è innegabile che il primo pensiero, all’esplosione del Furbettigate, sia stato per lei. Dopo aver seguito con doveroso sussiego le vicende del matrimonio con Stefano Ricucci, talmente privato da rimanere per giorni sulle bocche di tutti, eravamo un po’ in pensiero. Indiscrezioni velenose e solo un’immagine in bianco e nero degli sposi nel gran giorno – occhi negli occhi e sorridenti – a rassicurare le anime romantiche. Una foto hollywoodiana à la Pitt-Aniston, intrinsecamente un po’ sinistra. Ora, possiamo infine sospirare di sollievo.
La prima notizia è che Anna Falchi non è una sciocca. Ha dato del suo meglio per mantenere un profilo sobrio, consono al ruolo che aveva deciso per sé. Inventarsi un’aria da altera e irraggiungibile principessa dei salotti non poteva essere una soluzione. Oltre a un marito stilisticamente impeccabile, infatti, sarebbe tornata utile pure una fisiognomica da stronza col pedigree, lo sguardo in grado di terrorizzare eserciti smaliziati di addetti al catering. Improponibile per chi abbia a lungo campeggiato, in mutande, nelle cucine di ogni scuola alberghiera del regno – e lo spettacolo pare fosse indimenticabile. La soubrette assennata, in questi frangenti, si riveste di filati pregiati ed evolve in Sposa in Carriera, apparentemente autonoma. L’ha stabilito Edwige Fenech, senza fede ma con buon successo, nel suo periodo Montezemolo.
La signora Ricucci è stata raggiunta dalle voci sulle turbolenze giudiziarie che coinvolgono il marito mentre si trovava negli Stati Uniti per ragioni professionali. La seconda notizia, dunque, è che Anna Falchi lavora. Adesso fa la produttrice: da manuale. E altrettanto giudiziosamente smentisce ogni sospetto di crisi di coppia. In tempi acidi di martinestelle, è di conforto assistere a episodi di bionda lealtà coniugale. Si erge in accollato nero a fianco del consorte e lo difende per principio, come suole ogni donna innamorata. Perché è un lavoratore instancabile e un entusiasta. Un bambinone scavezzacollo. Un uomo sincero incapace di macchinare quelle cose da grandi di cui adesso è chiamato a rendere conto. Lui è Peter Pan, lei non riesce a essere Wendy e comporre con un sorriso le liti furibonde tra Bambini Smarriti. Ma è la sua favola. E non permette alla realtà dei tribunali di rovinare i progetti luminosi che ha fatto, per Natale e per il futuro. Così prova a trillare, come Campanellino. E noi, a dispetto di qualunque evidenza, tendiamo ad affezionarci alle fate, anche se improvvisate. Per certo, più che ai coccodrilli.