Mai come in questi ultimi mesi la Quercia era stata esposta a una tempesta tanto violenta. Mai le sue molte fronde avevano oscillato tanto vistosamente ai venti contrari. Soprattutto, mai come oggi il grande albero che ancora affonda le sue radici nel vecchio Pci era sembrato sul punto di crollare: la terra da cui quelle radici traggono ancora oggi linfa vitale si è fatta improvvisamente molle, battuta da una pioggia incessante di indiscrezioni, intercettazioni e insinuazioni di ogni genere. E improvvisamente, l’intera foresta si è popolata di boscaioli, che fischiettano allegramente con l’accetta sulla spalla. Ansiosi di sostituire la vecchia Quercia con il nuovo albero del partito democratico disegnato la settimana scorsa sul Corriere della sera. Prodi al vertice (bontà loro), seguito da tre sole personalità politiche di primo piano: Francesco Rutelli, Walter Veltroni e Giuliano Amato. E poi uno stuolo di intellettuali, giornalisti e cabarettisti più e meno organici al disegnino tracciato sul quotidiano diretto da Paolo Mieli. I vertici dei Ds, che quel nuovo partito sono impegnati a costruire da tempo insieme a Romano Prodi, contro l’aperta ostilità di gran parte dei personaggi disegnati su quella pagina e in primo luogo del disegnatore, semplicemente non pervenuti. Cancellati. Questo è lo stile scelto per condurre la propria personale battaglia politica da quel direttore che ha passato gli ultimi mesi dedicando al caso Unipol più pagine di quante il Corriere ne abbia dedicate all’undici settembre, insinuando che i Ds fossero al centro di una nuova tangentopoli e girando attorno alla Quercia con l’ascia tra le mani, chiamando ripetutamente in causa Fassino e D’Alema con lo stesso tono e la stessa partecipazione con cui Jack Nicholson chiamava la moglie negli ultimi minuti di Shining.
Giunto sull’orlo dell’abisso, dopo avere riunito e ricompattato la direzione del partito, Piero Fassino sabato ha chiamato a raccolta i segretari di tutte le sezioni d’Italia. La Quercia ha deciso finalmente di suonare l’adunata. L’unico partito che in Italia ha ancora un reale radicamento, perché espressione di interessi materiali e depositario di una tradizione storica che trova ancora una rispondenza nella società italiana, minacciato dalle scalate ostili di tanti raider sul mercato della politica, sabato ha varato il suo aumento di capitale. Le centinaia di militanti venuti da tutta Italia lo hanno sottoscritto senza esitazioni, come l’intero dibattito ha testimoniato al di là di ogni ragionevole dubbio. Questa è la ragione per cui non c’è bisogno di essere iscritti ai Ds e non c’è nemmeno bisogno di essere elettori del centrosinistra per schierarsi con loro: perché nel momento più difficile, isolati e attaccati da ogni lato, i Democratici di sinistra oggi rappresentano l’ultima trincea dell’autonomia della politica dai grandi interessi economici e dai loro più o meno collaterali rappresentanti politici e intellettuali. Ma se la Quercia ha potuto finora reggere l’urto e rispondere alle aggressioni, condotte con metodi peraltro sconosciuti financo alla non specchiata tradizione della nostra Repubblica, questo è stato possibile anche perché a guidare l’offensiva è sceso finalmente in campo il più screditato e meno verosimile dei condottieri.
Probabilmente Silvio Berlusconi non pensa di avere una sola possibilità di rivincere le elezioni. Nemmeno con l’attuale legge elettorale, che mira semplicemente a rendere il parlamento ingovernabile e che un leader politico seriamente intenzionato a tornare a Palazzo Chigi si sarebbe ben guardato dal varare. Berlusconi punta tutte le sue carte su Forza Italia, dopo essersi garantito anche attraverso quella legge infausta la possibilità di selezionare personalmente, accuratamente e autonomamente la lista dei suoi futuri parlamentari. L’obiettivo del Cavaliere è portare in parlamento una forza sufficientemente robusta e di assoluta fedeltà a garanzia dei suoi personali interessi. Per raggiungere questo obiettivo non ha alcun bisogno di erodere il vantaggio del centrosinistra, gli basta dissanguare i suoi alleati, impostando l’intera campagna elettorale come uno scontro di civiltà tra lui e i Ds, polarizzando il voto su un’alternativa secca: o me o loro. Comunque vada, in un simile scenario il tracollo di Forza Italia sarà perlomeno contenuto. Del resto non gli importa un bel nulla.
Tuttavia il Cavaliere lanciato alla carica contro la Quercia ha commesso almeno un grave errore. Decidendo di cavalcare la tigre degli scandali giudiziari, oltre a coprirsi di ridicolo e a portare in primo piano un tema – quello della questione morale – su cui di sicuro non è particolarmente forte, Berlusconi si è ammanettato da solo. Non appena le inchieste torneranno a illuminare ampi settori della sua maggioranza e autorevoli esponenti del suo governo, che nelle indagini sono coinvolti eccome – a differenza dei vertici diessini, ai quali i magistrati non hanno mai contestato nulla – quale linea difensiva potrà mai adottare quello stesso leader politico che fino a un minuto prima tuonava contro telefonate e incontri che i pm e lo stesso Berlusconi hanno definito di nessuna rilevanza penale? Ma forse, sebbene anche il suo nome sia finito più volte nel vortice delle intercettazioni, il Cavaliere si è convinto di non avere personalmente nulla da temere dagli sviluppi delle indagini. Quanto ai suoi alleati, peggio per loro. L’attacco ai dirigenti ds è funzionale alla strategia dello scontro di civiltà, serve a drammatizzare e soprattutto a polarizzare il voto, dunque avanti tutta.
Come osserva qui Oscar Giannino, i Democratici di sinistra dovrebbero privatamente e discretamente ringraziare il loro pubblico accusatore. In un colpo solo, Berlusconi ha screditato la campagna orchestrata da ben altri nemici, ha inibito ogni manovra ostile da parte degli alleati o all’interno degli stessi Ds, ha trasformato la Quercia nel campione del centrosinistra chiamato allo scontro finale. E ha ridotto in pezzi ogni residua velleità di riequilibrare i rapporti a sinistra da parte di Francesco Rutelli, che insieme a Casini è la principale vittima della nuova strategia berlusconiana. Bisogna dire però che il presidente della Margherita è stato proprio sfortunato. Dopo tanti sforzi e tanto generoso collateralismo, prima con la Cei di Ruini e poi con la Confindustria di Montezemolo, dubitiamo gli sarà di grande consolazione l’aver figurato per un giorno tra le alte fronde del partito democratico disegnato sul Corriere della sera.