Shopgirl

Mirabelle lavora nel reparto guanti di Neiman Marcus, il grande magazzino, a Los Angeles. L’impatto è ovattato, artificiale come la familiarità confortevole che protegge le ragazze di tutto il mondo quando entrano in un negozio di lussi discreti. Le commesse, in posti così, si dividono in due categorie: quelle a cui non si osa chiedere una taglia più grande e quelle che scelgono di farti provare direttamente la taglia più grande perché loro – si sa – hanno l’occhio allenato. Per questo si finisce per cercare consolazione negli angoli in cui le misure non suonino come condanne. Borse e scarpe, nell’iconografia classica, solo perché spesso dimentichiamo altri piccoli accessori, sofisticati e un po’ desueti. Ma tra le cose meno vistose si possono fare incontri interessanti. Come Mirabelle, la “Shopgirl” protagonista del libretto di Steve Martin – sì, l’attore, il secondo “padre della sposa”. Ha scritto un romanzo breve e subito una si immagina la chick lit facile, scritta a casting completato e già in forma di sceneggiatura. Invece.
Mirabelle dei guanti rimane tutto il giorno immobile dietro al bancone per vendere cose che nessuno vuole più. È la perfetta metafora di se stessa. Ha ventotto anni e cerca l’amore, come da tradizione. Solo che non è circondata da amiche intraprendenti o confidenti omosessuali, non tiene il conto delle calorie vuote, non si distrae dai malumori accumulando acquisti compulsivi. Mirabelle, quando sta male, rimane sdraiata sul futon del suo minuscolo appartamento e non accende neanche la luce. Quando si alza disegna, piccoli quadri, perché da grande vuole fare l’artista. Mirabelle, per la maggior parte del tempo, è priva delle più elementari forme di autoironia; è lo stile brillante del comico professionista che la conserva leggera. Impietoso mentre racconta i tranelli consueti delle relazioni che iniziano. Sempre uguali. Tutti quei discorsi che si fanno – di paure e aspettative – destinati a non lasciare traccia. Gli appuntamenti fallimentari, i sentimenti complicati tra l’affetto e l’attrazione. E senza smancerie da femminuccia, che sollievo. Poche parole essenziali e personaggi di contorno nitidi; persino la psicologia, per quanto lineare, sembra plausibile. Perché Steve Martin è distintamente un uomo, ironico e all’apparenza pure saggio. Non cede al tentativo di identificazione: Mirabelle non diventa mai una di noi. È un’astrazione nevrotica a cui ci si affeziona, tra il disagio e la tenerezza. Un dettaglio universale.
Naturalmente, poi, dal libro è stato tratto il film. Naturalmente, al cinema troveremo Claire Danes troppo poco eterea per rappresentare un’idea e Steve Martin inadeguato nell’interpretazione, essenzialmente, di se stesso. E negheremo di esserci commosse – noi ciniche esperte di ogni tranello – per un paio di guanti Dior conservati, infine, nella scatola dei ricordi.