In molti racconti e in diverse poesie di Borges ricorre la storia di un uomo che si sveglia all’improvviso, ma capisce che anche quel risveglio è parte del sogno: sta semplicemente sognando di svegliarsi. Il successivo risveglio è però ancora un sogno dentro un sogno, e così via lungo un’infinita serie da cui non farà mai in tempo a uscire. In una versione più divertente lo sventurato, percorrendo a ritroso la strada da un sogno all’altro, finisce distrattamente per “superare” la realtà.
Il successo mondiale del romanzo di Carlos Ruiz Zafón, L’ombra del vento (Mondadori), ha superato senza dubbio tutti i sogni di quel quarantenne chiaramente appassionato di Borges, che da dieci anni vive a Los Angeles e che prima di questo grande romanzo ottocentesco non aveva scritto che libri per ragazzi. Dal titolo si direbbe uno sdolcinato feuilleton, ma “L’ombra del vento” è anche il titolo del libro dentro il libro, quel romanzo ritrovato dal protagonista all’inizio della narrazione e destinato a segnare per sempre la sua vita.
Daniel Sempere, figlio di un libraio di Barcellona, una mattina del 1945 viene accompagnato dal padre in una biblioteca di Babele nascosta – non a caso – nel cuore del barrio gotico: il Cimitero dei Libri Dimenticati. Un rifugio segreto custodito da singolari sacerdoti simili agli uomini-libro di Fahrenheit 451, che qui portano in salvo i volumi che altrimenti rischierebbero di sparire. Daniel è invitato a scegliere un libro e a tenerlo con sé per sempre. La scelta cade per caso su “L’ombra del vento”, opera di Julián Carax. Da quel romanzo e dal desiderio di saperne di più sull’autore comincerà la lunga ricerca del ragazzo, un storia di amore, misteri e morte, a metà tra il poliziesco e il fantastico, dai toni melodrammatici e dagli infiniti colpi di scena che ricalcano quel fogliettone in stile ottocentesco che Daniel ha trovato per caso, che darà una svolta alla sua vita e a cui la sua vita finirà sempre più per assomigliare. La storia narrata nel libro ritrovato dal protagonista, la storia del protagonista stesso e il libro che le racconta entrambe si confondono e si intrecciano così sullo sfondo della guerra civile e della dittatura franchista, mentre intorno scorre la vita di una Barcellona spettrale in cui i personaggi cambiano volto e identità, tradiscono, fuggono e uccidono come in tutte le guerre civili e sotto tutte le dittature. “In questa storia c’entrano i libri – dice Daniel confidando il suo segreto all’amata Beatrice – libri maledetti, l’uomo che li ha scritti, un misterioso personaggio fuggito dalle pagine di un romanzo per poterlo bruciare, un tradimento e un’amicizia perduta. E’ una storia d’amore, di odio e di sogni vissuti all’ombra del vento. Ma è una storia vera. E come tutte le storie vere comincia e finisce in un cimitero, anche se molto particolare”. Inutile aggiungere che la stessa descrizione vale per il libro del misterioso Julián Carax e per quello di Carlos Ruiz Zafón.
Il successo internazionale della letteratura spagnola contemporanea, sull’onda di quella nouvelle vague di narratori che negli ultimi decenni del Novecento ha rianimato la tradizione del racconto breve e ingegnoso, costruito come un meccanismo a orologeria, si incontra a volte con due caratteristiche apparentemente disparate: la narrativa per ragazzi e l’appartenenza a una comunità locale orgogliosa della propria antica tradizione. Due caratteristiche che accomunano, per esempio, il catalano Zafón al basco Bernardo Atxaga.
L’ombra del vento ha superato il milione di copie vendute ed è divenuto un best seller anche negli Stati Uniti, raccogliendo elogi dal New York Times e dal Washington Post. A dimostrazione che quella globalizzazione americanista e omologante, insinuatasi attraverso i mille scaffali di internet e i suoi infiniti collegamenti interni, non è affatto il cimitero di pietra che si dice. E che la deriva intellettualistica o intimista di geni incompresi, peraltro sempre meno geniali e sempre più incompresi, non è un esito scontato né un portato della modernità. L’imponente struttura delle quattrocentotrentotto pagine di Zafón, con la sua architettura barocca, i suoi angeli e i suoi demoni, dimostra invece che alla destrutturazione della società (o semplicemente, come sempre, di un suo determinato assetto) non fa seguito alcuna necessità di destrutturare l’arte, il linguaggio o il significato. La funzione del libro è la stessa di sempre, come ricordano l’incessante riscoperta di Tolkien o il fenomeno di Harry Potter. Ed è forse per questo che in Italia la letteratura per ragazzi, dove non è possibile barare, da lungo tempo non presenta alcun nome che qualcuno ricordi.