Lo scorso fine settimana una coppia di amici scandinavi ha portato a Roma i due figli per far loro visitare la città eterna per la prima volta. È stato, ovviamente, un tour a tappe forzate e dopo piazza Navona, il Pantheon, San Pietro, sabato mattina sono andati anche al Colosseo. “Bellissimo”, hanno detto i due adolescenti, ma hanno aggiunto che l’enorme affollamento di turisti li aveva messi molto a disagio. Quando ho mostrato alla coppia di amici le immagini del mausoleo di Cecilia Metella e della Villa dei Quintilii sono rimasti senza fiato e i due ragazzi hanno detto che, tutto sommato, sarebbe stato meglio passeggiare sull’Appia che farsi prendere a spintoni al Colosseo. Sono cose che fanno riflettere. Soprattutto alla luce della notizia del prossimo avvio dei lavori per ricostruire una base praticabile in legno al centro dell’arena del Colosseo. I lavori dureranno circa cinque anni e costeranno 20 milioni, di cui 16 provenienti da fondi pubblici e 4 recuperati dalla sponsorizzazione Della Valle.
Ovviamente si sono scatenate polemiche (inutili) e discussioni (spesso interessanti). C’è chi si oppone, certo che l’intervento non sia finalizzato a ricostituire la realtà storica del monumento quanto a renderlo il più possibile simile all’arena di Massimo Decimo Meridio oltre che a utilizzarlo per spettacoli di discutibile qualità. Gli entusiasti, invece, ricordano che fino a un secolo fa lo spazio centrale del Colosseo era ancora calpestabile e che grazie alla pedana lignea si proteggerebbero i sotterranei (oggi scoperti) migliorando la comprensione complessiva del monumento.
Come spesso accade, hanno tutti ragione. Tuttavia, rispetto al rischio di contraffazione che il Colosseo correrebbe con l’aggiunta della pedana, va detto che in Italia le leggi di tutela dei beni culturali impongono che gli interventi che colmano parti mancanti di un bene abbiano come fine, oltre al consolidamento della materia, proprio il miglioramento della leggibilità dell’opera. E prescrivono anche che il restauro debba sempre essere rimovibile e facilmente distinguibile. Naturalmente le regole impongono che non si possano fare aggiunte arbitrarie all’opera (ma non è il nostro caso) perché, come recita un documento del 1821, “…alle volte colle supposizioni si danno i disegni più belli, ma non più veri”. Questo, almeno, secondo la legge.
Per queste e altre ragioni non credo che il progetto della pedana sia assurdo o offensivo per il monumento. Ciò che mi fa pensare, invece, è la spasmodica attenzione alla valorizzazione che la politica e la burocrazia convogliano su pochissimi monumenti e siti: certamente importanti e bellissimi, sicuramente celebri, senza dubbio simbolici, ma che forse, sul piano della fruizione, non possono proprio dare di più. E si potrebbe aprire qui la trascurata questione della bassissima qualità di visita imposta troppo spesso a chi visita siti più carismatici. Ma ci sarebbe da meditare anche sul fatto che i flussi turistici a Roma (e vale lo stesso per moltissime altre città) si focalizzano su una manciata di siti trascurando quasi sistematicamente decine di altri luoghi straordinari che meriterebbero un po’ della creatività, della passione, delle risorse (umane e finanziarie) investite nel progetto Colosseo. Insomma, ancora una volta si deve trovare un equilibrio tra lo “stalking valorizzatorio” diretto verso pochi monumenti e l’apatia rassegnata mostrata nei confronti di tutti gli altri.
Faccio solo due esempi: la stupefacente Basilica sotterranea di Porta Maggiore (aperta solo due domeniche al mese su prenotazione) o l’incantevole chiesa di Santa Bibiana (rifatta da Bernini e decorata da Pietro da Cortona) a due passi dal Tempio di Minerva Medica: entrambi i monumenti esiliati tra i binari del tram. Ha davvero senso che il circuito che comprende le Terme di Caracalla, la Tomba di Cecilia Metella e la Villa dei Quintilii abbia poco più di 250 mila visitatori l’anno, mentre il circuito Colosseo-Foro Romano-Palatino ne sopporti più di 6 milioni? E soprattutto, è sano per quei monumenti? Insomma, ben venga la pedana del Colosseo, ma sarebbe ora di pensare al patrimonio culturale romano non come a un insieme di luoghi giustapposti, ma come a un organismo intero di cui avere cura ed essere orgogliosi nella sua totalità. Per non far morire tanti siti di solitudine e pochi altri per troppa popolarità.