Un distinto signore scrisse più di un secolo e mezzo fa una frase rimasta nella storia: “Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del comunismo”. Lo stesso termine potrebbe essere usato, con accezione opposta, per descrivere la situazione attuale del socialismo europeo. Il processo di integrazione continentale non solo non sembra più ineluttabile ma rischia di entrare in una fase involutiva e di regressione che l’accordo sulla Grecia non sarà certo sufficiente a scongiurare. Questa regressione dipende da molti fattori, ma fra essi non può non esservi annoverata anche la totale assenza di quei “motori” politici che avrebbero dovuto creare le condizioni per far ripartire la macchina europea.
Il percorso comune delle forze socialiste e socialdemocratiche europee affonda in tempi molto lontani, dalla Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio sino alle recenti elezioni europee del 2014, evidenziando per la prima volta un candidato per la presidenza della Commissione europea nella persona di Martin Schulz. Il 2014 è stato anche il primo anno in cui la rete dei Pes Activists, i volontari aderenti al Pse e ai partiti membri, ha dato un contributo rilevante alla campagna.
Messa così sembra una storia di grande successo, con una continua progressione verso un soggetto politico europeo sempre più forte. Sembra, ma forse non lo è. Basta riflettere su quanto oggi il Pse sia effettivamente in grado di intervenire sulle politiche attuate dai suoi partiti membri, sull’esistenza e sulla qualità dei processi di legittimazione democratica delle sue leadership e dei suoi programmi, su quanto abbia pesato il Pse nella definizione delle politiche europee degli ultimi anni. La risposta è una sola: ben poco.
Qui sta dunque la cartina al tornasole di quanto l’europeismo socialista sia sincero, lungimirante e concreto oppure ipocrita, ottuso e parolaio: nella creazione di un vero partito politico europeo. Resta da capire, però, se i leader del socialismo europeo sono della stessa idea. La scelta dipende esclusivamente da loro, dunque devono essere loro a dirci se e quando verranno poste le basi di un processo che non potrà in nessun caso essere il frutto di accordi formulati al livello delle leadership politiche nazionali, ma dovrà invece vedere un ampio coinvolgimento della base dei militanti dei partiti aderenti al Pse. Alle elezioni europee del 2014 Martin Schulz è stato scelto come candidato alla presidenza della Commissione dal congresso del Pse: un primo passo nella direzione giusta. Ora però si tratta di definire in che modo la base ampia dei militanti dei partiti membri potrà prender parte a future scelte di questo tipo, non solo sui nomi dei candidati ma anche sui contenuti.
La strada è lunga, ma ci sono aree del nostro continente in cui un vero partito europeo potrebbe mettersi alla prova da subito, ogni giorno. Mi riferisco alle aree di confine, spesso multietniche, dove con la sovranità di uno stato si esaurisce anche l’area d’azione di un partito membro, che ha quindi a breve distanza la possibilità, a oggi scarsamente praticata, di interagire con altri partiti aderenti al socialismo europeo. In attesa di decisioni più ampie e impegnative, il Pse potrebbe almeno utilizzare queste aree come laboratori per il superamento di quegli steccati nazionali che troppo spesso in questi anni hanno tarpato le ali alla possibilità di costruire un’idea di Europa socialista moderna, efficace ed elettoralmente competitiva.
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L’autore è consigliere provinciale Pd di Trieste