L’oblio del diritto

La parola “garantismo” nasce come termine filosofico: garantismo era il sesto stato storico da attraversare per raggiungere la realizzazione dell’armonia generale e, secondo Charles Fourier, si situava tra il quinto stato (la civiltà) e il settimo e ultimo (l’armonia, appunto). Per l’utopista francese il garantismo preludeva a una società comunitaria armoniosa e perfetta. Siamo alle vette raggiunte da questa parola: l’orizzonte è limpido, l’aria rarefatta e in sottofondo si sente il fruscio di un ruscello. La parola garantismo ha poi assunto un significato più concreto: liberandosi dalle briglie dell’utopia si è materializzata come un carattere proprio delle costituzioni democratico-liberali, dotate di garanzie giuridiche e politiche volte a riconoscere e tutelare i diritti e le libertà fondamentali degli individui da qualsiasi abuso o arbitrio da parte di chi esercita il potere.

Il termine “garantismo”, con riferimento alla giustizia penale, ai diritti di chi è indagato o sottoposto a processo e al rispetto del canone costituzionale contro l’arbitrio, è invece uno sviluppo più recente. Luigi Ferrajoli e la sua Teoria del garantismo penale hanno contribuito alla definitiva diffusione di questa accezione e alla sua introduzione nel dibattito pubblico. Ma la parola garantismo ha avuto in questi anni uno scivolamento semantico, se non un vero e proprio cedimento strutturale, e dalle vette dell’utopia ci siamo ritrovati immersi fino al collo nel fango del giustizialismo quotidiano. Siamo sprofondati, fino a identificare la parola garantismo con l’insofferenza verso il controllo giudiziario, confondendo diritti e formalismi burocratici, liquidando come collaborazionismo ogni tentativo di riaffermarne la natura di fondamento dello stato di diritto.

La vicenda di Giovanni Scattone, e la sua decisione di rinunciare a un posto di insegnante che aveva vinto con un regolare concorso, costretto da una reazione scomposta e disinformata dell’opinione pubblica, sono un’istantanea desolante del sentimento comune verso principi e diritti fondamentali, che sarebbero la pagina uno dell’abbecedario costituzionale, ben prima del Senato elettivo o della forma di governo. Un condannato dovrebbe rispondere solo alle leggi dello stato, leggi che hanno la funzione di sottrarlo all’arbitrio e all’instabilità emotiva dell’opinione pubblica. Se Giovanni Scattone è da considerarsi riabilitato secondo la legge, e quindi nel pieno dei suoi diritti civili e sociali, nessuno dovrebbe avere il diritto di pretendere il contrario, a meno di non voler sostituire la propria opinione all’articolo 27 della Costituzione. Le reazioni alla sua legittima intenzione di rientrare a fare parte della società sono spaventose, ci strappano dalla culla del diritto per trascinarci in un paese reale in cui l’unica pena sembra essere la vendetta e l’alternativa alla rieducazione l’ostracismo, lo stigma. Fine pena mai, dove la pena è una gogna perpetua attorno a cui stringersi nell’umiliazione del colpevole. Stiamo scivolando verso una forma di analfabetismo giuridico selvaggio, che non si comprende se sia l’effetto o la causa di un’opinione pubblica spietata, come un Alabama del primo Novecento con vista sul mare. Le reazioni alla vicenda di Scattone sembrano confermare quello che diceva Ferrajoli, forse come paradosso, forse no: la storia delle pene è una storia orribile, molto più infamante per l’umanità della storia dei delitti.

Serve una nuova cultura garantista, prima che sia troppo tardi, e un piano quinquennale di alfabetizzazione del diritto che faccia emergere le contraddizioni di chi, magari, firma referendum per salvare la Costituzione e poi considera giustizia la rinuncia di Scattone al posto che gli spettava. E non perché violava la legge, ma per un non meglio definito senso di opportunità, che si vorrebbe sostituire all’apparato legislativo e costituzionale. Lo stato di decenza al posto dello stato di diritto. La distorsione del significato della parola “garantismo” non è un problema lessicale; liberiamola una volta per tutte delle scorie che la confondono e facciamola ingrassare in bocca ogni volta che la pronunciamo. La parola “garantismo” significa Costituzione.