In un’ipotetica scala graduata della felicità ci sono Al Bano, Thomas Jefferson, Jean-Jacques Rousseau e San Bonaventura. Lo diciamo per coloro che hanno molto criticato Romano Prodi quando – nel faccia a faccia di martedì – ha fatto gli occhi bonari, gonfiato le guance e detto di voler ridare “la felicità” agli italiani. Giorgio La Malfa è saltato su: “La felicità ognuno se la organizza da solo”. Il liberale è sempre spaventato da uno Stato che pretende di intromettersi nella sfera privata dei cittadini per imporre la propria idea di Bene, l’unica che permetterebbe di vivere – appunto – felicemente. E questo è un pericolo, si sa. Però Prodi più che a Rousseau pensava forse al “diritto inalienabile alla ricerca della felicità” contenuto nella Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776; e anche a quest’altra frase, scritta sempre lì: “allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi”. Cioè: lo Stato può (anzi deve) porre le condizioni perché i cittadini vedano premiati i propri sforzi per essere felici. Poi uno può anche offrire “un bicchiere di vino con un panino”, che è l’approccio berlusconiano, o anche promettere la Beatitudine, che è l’ultimo gradino della scala, il più pericoloso. Noi preferiamo stare con Thomas Jefferson.