Dove in un punto furon dritte ratto / tre furie infernal di sangue tinte, / che membra femminine avieno e atto, / e con idre verdissime eran cinte; / serpentelli e ceraste avien per crine, / onde le fiere tempie erano avvinte”.
Potrebbe essere il testo raffinato di un brano black metal; invece, è proprio ciò che sembra: Dante Alighieri, Inferno, canto IX. E’ possibile accomunare il Sommo Poeta alla schiera d’invero meno sommi epigoni dediti alla celebrazione degli Inferi? La domanda è a rischio di fiera collera accademica, di sdegno classicista scosso nelle certezze consolidate. Eppure, non si tratta solo della coincidenza di scenari, i primi 34 canti della Divina Commedia essendo un catalogo di orrori, miserie, flagelli e mostruose apparizioni tale da nutrire la cultura ufficiale e le sottoculture attigue – metal in primis – per i secoli passati e quelli a venire. Si tratta di ispirazione, nata dalla lettura e dallo studio per trasformarsi in un buon esempio di metal, forgiato proprio nell’officina di una tra le band che maggiormente hanno dato dignità al genere.
Con “Dante XXI”, i Sepultura firmano il loro quarto e miglior lavoro con il cantante Derrick Green, da quasi dieci anni sostituto di Max Cavalera, ritrovando una convinta vena death e un gusto non meccanicistico per la contaminazione: il percussionismo tribale, uno dei loro tratti più caratteristici, cede qui il passo ad altre innovazioni come l’uso degli archi (in “Ostia” e “Still Flame”) o l’introduzione di cori e armonie (le quattro “Intro”, “City Of Dis” e la stessa “Still Flame”) dal sapore classico, in senso sia musicale che storico.
Originari di Belo Horizonte, si formano a metà anni ’80: Max Cavalera (voce/chitarra), Igor Cavalera (percussioni), Paulo Jr. (basso) e Jairo T. (chitarre) condividono una passione di certo non ben vista dalla società e dalla cultura brasiliana di allora, per di più all’indomani della caduta del feroce regime militare. Inossidabili, i quattro scalano in fretta i gradini che li separano dalla vetta: dallo split d’esordio con i conterranei Overdose “Bestial Devastation” (’85) al primo cd “Morbid Visions” (’86); passando per il cambio di formazione con l’ingresso del più tecnico Andreas Kisser alla chitarra. Con questa line up realizzano “Schizophrenia” (’87), “Beneath The Remains” (’89), “Arise” (’91), “Chaos A.D.” (’93) e “Roots” (’96), una cavalcata in progressione dove ogni lavoro consolida e supera il precedente, dispiegando via via maggior sicurezza e ricchezza non solo nella parte musicale ma anche in quella dei testi. Le origini umili e la contestazione sociale conflagrano al pari dell’energia profusa sul palco e in studio.
La tormentata separazione da Max arresta il percorso, costringendo la band a una lunga riflessione dalla quale esce la decisione non facile di continuare. Arrivano “Against” (’98), “Nation” (’01) e “Roorback” (’03) insieme all’ep di cover “Revolusong”; lavori volonterosi ma appannati rispetto alla fase precedente, pur non rinunciando né alla consueta aggressività né alle variazioni.
“Dante XXI” è il miglior antidoto alla vecchiaia che i Sepultura potevano iniettarsi: la versione death e aggiornata alla nostra epoca dell’antico capolavoro ridà convinzione e coerenza al sound: dopo “Lost” e “Dark Wood Of Error” parte il trittico composto da “Convicted in Life”, “City Of Dis” e “False”, tutte di ottimo livello; seguono “Fighting On”, “Buried Words” e “Nuclear Seven”, compatti standard death; “Limboi” apre la strada a “Ostia”, miglior brano in assoluto con il potente break iniziale, il melanconico inciso di violino e l’assalto finale di chitarre. “Repeating The Horror” e “Crown And Miter”, alternate a “Eunoè” e “Primium Mobile”, riportano il livello e il clima alla prima parte dell’album. Finale con l’atmosferica “Still Flame”, piccola colonna sonora da film. Ascoltare con giudizio, comunque. Di qua si va tra la perduta gente.