Il tipo di libro con cui Ugo [di San Vittore] era a contatto quando, durante l’infanzia nelle Fiandre o l’adolescenza in Sassonia, gli fu insegnato a tener in mano la cannuccia o la penna, è ben poco paragonabile con gli oggetti stampati che teniamo nei nostri scaffali. Il suo aspetto non aveva nulla di quel caratteristico pacco di fogli fabbricati a macchina, coperti di segni tipografici e incollati sul dorso, che per noi è un libro. Le pagine erano ancora di pergamena anziché di carta. La pelle traslucida di pecora o di capra era coperta di scrittura a mano e ravvivata da miniature eseguite con sottili pennelli. Attraverso quelle pelli la Perfetta Sapienza poteva trasparire, portando alla luce lettere e simboli e accendendo l’occhio del lettore. Guardare un libro era un’esperienza paragonabile a quella che si può rivivere la mattina presto nelle chiese gotiche che hanno conservato le finestre originali: quando il sole si alza, dà vita ai colori delle vetrate che prima dell’alba parevano un nero riempitivo degli archi di pietra.
(Ivan Illich, Nella vigna del testo)
a cura di Massimo Adinolfi