Se il vomito fosse un film, questa ne sarebbe la colonna sonora”. Non è noto alle cronache l’estensore di questa lapidaria, gastrica recensione. Noti sono invece i destinatari, riuniti sotto l’insegna Cannibal Corpse: originari di Buffalo, si formano nel 1988 con una line-up che comprende Chris Barnes (voce), Bob Rusay e Jack Owen (chitarre), Alex Webster (basso) e Paul Mazurkiewicz (batteria).
Influenzati dagli Slayer, ma anche dai Death (a tratti, sembrano un mix di Sepoltura e Obituary schizzato dal frullatore contro il muro), conquistano un contratto con la Metal Blade Records grazie al primo demo dell’89; poco dopo, esordiscono sulla distanza piena: “Eaten Back To Life” (’90) inaugura una ventennale serie di canzoni, titoli, testi e copertine totalmente immersi nel più fumettistico, goliardico, esagerato, adolescenziale, sgangherato, b-movie oriented sound&style come nemmeno Quentin Tarantino o Brian Yuzna oserebbero progettare. Da “Tomb Of The Mutilated” del ’92 sino a “The Wretched Spawn” del 2004 – passando per appassionate dichiarazioni d’amor putrido come “The Bleeding” (’94), “Vile” (‘96), “Gallery Of Suicide” (’98), “Bloodthirst” (’99), “Live Cannibalism” (’00) e “Gore Obsessed” (’02) – costruiscono una carriera che raggiunge il traguardo del diciottesimo anno con un nuovo tassello chiamato “Kill”, perfetto ultimo comandamento di questo decalogo.
Irriducibili e irriconciliabili, metallici in musica ma punk nell’anima (un punk primigenio meno self-mutilation e più furioso annichilimento degli ordini costituiti), ancora non perdono una iota della brutalità, dell’estremismo, della rumorosità e della sottile dinamicità del loro suono, rivelando invece un’improvvisa, insospettabile e altrettanto sorprendente capacità di migliorarsi, di affinare (se questo verbo può essere usato qui) stile e produzione. Merito anche del lavoro in cabina di regia dell’ex-Mordid Angel Erik Rutan – come se Wagner producesse Beethoven, più o meno – che registra voce e strumenti con la massima pulizia, collocando ciascuno nella giusta casella spaziale e acustica. Da parte sua, il quintetto ora composto dagli originari Webster e Mazurkiewicz con il cantante George Fisher (ex-Monstrosity) e i chitarristi Rob Barrett (ex-Malevolent Creation) e Pat O’Brien, ingaggia tredici selvaggi assalti a tolleranza zero per le orecchie: i cingoli del carro armato cannibale sono fusi con il metallo gore di “Make Them Suffer”, “Murder Worship”, “Death Walking Terror”, “Brain Removal Police” e “Manical”; il cannone lancia monoliti d’acciaio perforante quali “The Time To Kill Is Now”, “Necrosadistic Warning”, “Five Nails Through The Neck”, “The Discipline Of Revenge”, “Submerged In Boiling Flesh”; e il fuoco che ogni cosa divora e porta a completa fusione è alimentato dalle splendide “Purification By Fire” (appunto) e “Infinite Misery”, quest’ultima cadenzata, dolente e dilaniata da un lungo assolo che è lamento puro. Una splendida conclusione per un lavoro nel quale nessuno si risparmia, dalla sezione ritmica martellante a ritmi quasi industrial, alle chitarre velocissime eppure perfettamente intelligibili, alla voce gutturale spinta ai limiti della rottura. Quaranta minuti di puro piacere musicale.
Terroristi del decibel, i Cannibal Corpse invecchiano splendidamente senza mai prendersi sul serio eppure senza lesinare in impegno, fieri portabandiera di un rigoroso caos; a quanti, intimoriti dal giudizio d’apertura, esitassero ad affrontare l’ascolto, non resta che raccomandare un atto di coraggio. Muniti di regolare sacchetto, sotto il sedile.