La campagna elettorale è stata condotta da Silvio Berlusconi in modo al tempo stesso truce e mirabile. Dalla rivolta fomentata dal palco di Vicenza contro i vertici di Confindustria alle considerazioni sugli elettori di sinistra “coglioni”, il Cavaliere ha guidato il gioco secondo il suo stile: Pulp Fiction, allo stato puro. Come il protagonista del capolavoro di Quentin Tarantino, infatti, anche Berlusconi prima del voto era sembrato a molti un pugile ormai avanti con gli anni e inevitabilmente prossimo al tramonto. Ma proprio come lui, Berlusconi non poteva accettare di andare al tappeto, preferendo piuttosto lanciarsi in una guerra disperata e sanguinosa, solo contro tutti. In campagna elettorale il Cavaliere è arrivato così a un passo dal trionfo, smentendo tutte le previsioni, comprese le nostre. Dopo il voto, però, la stanca replica di quello stesso copione non ha avuto altrettanto successo. Sulla linea dello scontro frontale, che Berlusconi ha imposto ai suoi recalcitranti alleati, il centrodestra ha collezionato una lunga serie di sconfitte: la maggioranza ha eletto le tre principali cariche dello stato senza alcun concorso dell’opposizione. E il governo Prodi non ha avuto troppe difficoltà a ottenere la fiducia al Senato.
I fischi e gli insulti contro Scalfaro e Ciampi sono stati solo l’ultimo gradino di una simile discesa verso l’irrilevanza politica, naturalmente accompagnata dalla rabbia delle truppe e dalle avvisaglie di ammutinamento tra gli ufficiali. Come già in occasione dell’elezione di Napolitano, anche sul voto di fiducia al compattarsi della maggioranza hanno fatto seguito immediatamente i primi segni di una spaccatura nell’opposizione. Ancora una volta, dinanzi agli attacchi berlusconiani contro i senatori a vita, Follini e Casini hanno manifestato apertamente il proprio dissenso. Mentre Gianfranco Fini, ancora una volta, non si è fatto notare troppo. Ma il referendum sulla devolution si avvicina e le grandi manovre sono appena cominciate.
Se in campagna elettorale Silvio Berlusconi è dunque l’eroe di Pulp Fiction, i suoi alleati assomigliano sempre di più ai protagonisti di Jackie Brown. Eppure i due film hanno qualcosa in comune: entrambi parlano del destino. In Pulp Fiction si tratta di predestinazione, perché la sorte dei protagonisti appare decisa fin dall’inizio, preannunciata da un’infinità di segni premonitori; in Jackie Brown, invece, si tratta di scelte, perché al proprio destino si può anche sfuggire. Del proprio destino, persino, si può rendersi artefici.
Fini e Follini farebbero bene a rifletterci su. Anche la hostess Jackie Brown, come il pugile di Pulp Fiction, è una donna di mezza età. Utilizzata da un trafficante d’armi per trasferire il denaro all’estero e incastrata dalla polizia, più della prigione o della vendetta del suo capo, a terrorizzarla è l’idea di invecchiare. Invecchiare continuando a fare la hostess in una compagnia da due soldi, continuando a girare a vuoto per il mondo come sembra girare a vuoto – proprio all’inizio del film – nell’aeroporto in cui lavora, ma anche nel centro commerciale in cui deciderà di cambiare per sempre il suo destino. Chissà se Follini ha visto il film di Tarantino, se ha riflettuto anche lui su quel lungo girovagare apparentemente fine a se stesso e se quell’immagine gli è tornata alla mente, quando Berlusconi ha ripreso a dargli del traditore.
Al fianco di Jackie Brown c’è un altro uomo di mezza età, che conduce un’altra vita sempre uguale a se stessa e certo non più esaltante, guadagnandosi il pane come garante cauzione, anche per conto dello stesso Ordell, il trafficante d’armi. Un po’ come ha fatto in questi anni Gianfranco Fini, tirando fuori dall’isolamento i voti dell’ex Movimento sociale e consegnandoli al Cavaliere.
L’occasione per liberarsi dalla deprimente tutela berlusconiana e uscire finalmente dal circolo vizioso dell’ultimo decennio, per An e Udc, si presenta adesso. Perché la determinazione con cui il leader di Forza Italia sta sbarrando porte e finestre della Casa delle libertà per impedire ogni dialogo con la maggioranza potrebbe rivelarsi esiziale per entrambi i partiti. Dopo il referendum sulla devolution, è chiaro, tutto può succedere. Ma per Fini e Follini potrebbe essere già tardi. Se la coalizione si squaglia al primo sole dell’estate, la loro posizione potrebbe indebolirsi parecchio anche nei confronti della maggioranza. E nelle loro mani, a quel punto, resterebbero soltanto gli avanzi di una vita politica monotona e irrilevante, sempre e drammaticamente uguale a se stessa. Chissà se fa paura anche a loro, come alla hostess di Tarantino, l’idea di invecchiare con un vassoio in mano.