Alla vigilia dell’impegno contro il Ghana il solitamente mite e taciturno Del Piero ha voluto dire la sua sulla nazionale, sul suo stato di forma, e su varie altre cose. Sono come Achille – ha dichiarato l’attaccante juventino, mostrando una insolita spavalderia – ho osservato la situazione sulla collina, e ora parlo.
Qualcuno ha fatto notare qualche pecca negli studi classici di Del Piero (Achille attendeva nella sua tenda, non sulla collina). A noi incuriosisce, nel caso, sapere chi sia Agamennone, lo scontroso capo degli Achei, o chi sarà Patroclo, l’amico la cui morte farà tornare Achille in agone – speriamo non Camoranesi, che tra difesa e centrocampo la coperta è già tirata al limite. Ma soprattutto vorremmo sapere perché, tra tanti eroi a disposizione, Del Piero ne abbia scelto uno passato alla storia per le fragili estremità, e che tra l’altro, diciamolo, è ricordato per avere fatto una fine un po’ da fesso.
In ogni caso le parole di Del Piero meritano di essere prese sul serio: vuole essere Achille? Che Achille sia. Il leader di uomini, l’anima della battaglia. Capace, con la sua sola presenza, di restituire fiducia e vigore ai compagni d’armi. Ci sarà bisogno, nel mondiale tedesco, di uno come Achille.
Ed è inutile perdersi nella polemica del dualismo tra Del Piero e Totti. Massima stima per Francesco, il bene della nazionale, le solite cose. Cose anche vere, senza dubbio, ma parziali. Perché se deve essere o lui o me, allora non c’è storia. Perché alla fine ogni atleta, anche in uno sport di squadra, vuole una cosa sola: essere in campo, sentire l’odore dell’erba, giocare e segnare il punto decisivo. Sarebbe innaturale e sbagliato se volesse alcunché di diverso. E se per essere in campo deve passare sopra qualche cadavere allora sia pure, e pazienza se le svenevoli educande in tribuna rovesceranno il tè delle cinque per lo spavento. Lo sport è fatto di sudore, fatica e sofferenza. I vincitori, quando alzano la coppa, puzzano forse più degli sconfitti. Le dichiarazioni bellicose di Del Piero vanno viste come un opportuno segno di vitalità, non come un dissidio interno, tutto da verificare. Per vincere un mondiale non serve un gregge di pecore, ma un branco di leoni. Quindi buon appetito Del Piero, la prendiamo in parola. Ricordi solo questo: essere Achille significa che d’ora in poi non ci sono più alibi, a trentadue anni (pardon, trentuno e mezzo) non ci sarà per lei una seconda Troia da bruciare, per lei più che per i suoi compagni è ora o mai più.
Diversamente, e questa sera forse potremmo già saperlo, più che ad Achille, nella sua metafora contemplativa, lei somiglierà a Toro seduto. Sulla panchina.