Ho letto, come molti, la lettera in cui Massimo Piermattei, storico dell’integrazione europea, annuncia la sua dolorosa scelta di abbandonare la ricerca. L’ho letta e mi sembra di conoscerlo: ha trentanove anni, tre meno di me.
Di storie come la sua ne conosco tantissime. Sono quelle dei miei amici più cari. Quelli che con me andavano all’università e che erano molto ma molto più bravi di me. E che hanno insistito, hanno provato, hanno tentato di fare quello per cui avevano studiato. E che di studiare e fare ricerca non hanno mai smesso, per fortuna. Spesso lavorando gratis o guadagnando due lire. A volte rimettendoci di tasca loro per supplire alle carenze di investimenti delle strutture in cui operano.
Parliamo di persone che per l’Italia sono un valore e che l’Italia ha umiliato per anni. Persone che in un mondo in cui si compete sull’innovazione e sulla qualità dovrebbero essere sostenute e non sfruttate. E invece si ritrovano a quarant’anni a dover mollare, ad avere bisogno di un garante per il mutuo, a far fatica a immaginare un futuro dignitoso per la propria famiglia, ammesso che abbiano avuto il coraggio di provare a metterne su una. Quelli che operano nei settori più dinamici se ne vanno, perché fare i precari all’estero conviene comunque molto di più. E soprattutto non è una condizione che dura vent’anni.
Le ragioni di questa situazione drammatica sono molte. E le responsabilità diffuse. Ne ha anche la sinistra, che questo paese l’ha governato anche lei, negli anni in cui si mettevano le basi di questa enorme ingiustizia. Ne ha l’accademia, che spesso si è indignata per tante cose, ma mai fino in fondo per questa neoproletarizzazione di quelle migliaia di persone che mandavano avanti università ed enti di ricerca.
Ora però il punto non è distribuire responsabilità, ma cercare soluzioni. Partendo da una visione del paese: noi abbiamo bisogno di qualità e innovazione. Abbiamo bisogno di ricerca. E la ricerca la fanno le persone in carne e ossa. E quelle persone devono poter vivere del loro lavoro. Non semplicemente sopravvivere. E visto che a breve inizieremo a discutere della prossima legge di stabilità, credo proprio che il Partito democratico dovrà mettere questo tema all’ordine del giorno, ora più che mai.