Io non sono un costituzionalista. A qual titolo, dunque, posso affiancare il mio parere sul referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006 a quello di Riccardo Chieppa o di Francesco Paolo Casavola, di Gustavo Zagrebelsky o di Augusto Barbera, di Michele Ainis o di Paolo Armaroli? Temo, a nessun titolo particolare. Tuttavia devo votare: è un dovere al quale mi ha richiamato qualche giorno fa lo stesso presidente della Repubblica (il quale – neppure lui – è costituzionalista: mi auguro che gli uffici giuridici del Quirinale gli diano una mano nel formarsi un’opinione). E allora: come fare?
Secondo Giovanni Sartori, che da diverso tempo ha impegnato la sua caratura internazionale di scienziato della politica sul mercato domestico della tv, ed è dunque per tutti noi non più l’autore di “Democrazia: cos’è”, ma l’esperto arguto e schietto, amico del parlar franco, il cui volto è familiare al cittadino telespettatore quanto quello dello psichiatra Paolo Crepet o del criminologo Francesco Bruno, secondo Sartori – dicevo – la cosa migliore da fare sarebbe di affidarsi al verdetto degli esperti. Se gli esperti dicono no, allora un paese serio dovrebbe votare no; se dicono sì, sì. Un paese serio, dice l’esperto Sartori, è un paese che ascolta i propri esperti (e, per subalternazione, è un paese che ascolta Sartori). Perciò Sartori sul Corriere di sabato fa i due conti che anche un non esperto è in grado di fare e trova che solo 16 costituzionalisti si sono pronunciati per il Sì, contro “17 presidenti e vicepresidenti emeriti della Corte costituzionale, 178 professori di diritto costituzionale, pubblico e amministrativo, più 274 professori di altre discipline” (tra i quali ultimi Sartori stesso, che costituzionalista non è).
Dunque, se voglio esser serio, devo votare no. E infatti voterò no. Non mi riesce tuttavia di non domandare se davvero l’esperto Sartori giudichi che io dimostrerei maggiore serietà votando secondo il parere degli esperti, piuttosto che provando a formarmi una mia opinione sui cambiamenti introdotti dalla riforma costituzionale voluta dal centrodestra nella scorsa legislatura e sottoposta oggi e domani a referendum confermativo. Sartori non deve amare molto l’istituto del referendum, il quale per definizione chiama il cittadino ad esprimere il proprio parere su questioni sulle quali ben difficilmente si trova ad essere esperto (non siamo tutti Sartori, purtroppo): se davvero fosse serio che il voto si allineasse a quello degli esperti, tanto varrebbe abolire l’istituto referendario (ecco una riforma che non c’è nella proposta di revisione in discussione, ma che immagino Sartori apprezzerebbe molto). Io ignoro, poi, quale percentuale di costituzionalisti sieda in Parlamento e nella Commissione Affari Costituzionali, ma di sicuro non sono la maggioranza: il ragionamento dell’esperto Sartori mi porta inevitabimente a domandare se sia serio che un paese affidi una riforma costituzionale così profonda a medici, avvocati e commercialisti, e a non so chi altri sieda in Parlamento. E così anche le Camere sono sistemate.
Il ragionamento di Sartori, infine, è spietato, poiché mi spinge con la forza delle verità più elementari a chiedere se i Padri costituenti che ci han dato la Costituzione del ’48 provenissero in maggioranza da studi di diritto costituzionale, e, di nuovo, se sia stato serio tenersi per 60 anni una Costituzione scritta da gente in maggioranza inesperta. Mi accorgo con sgomento che, forse, giunto a questo punto, per essere serio dovrei addirittura votare sì, o comunque auspicare la redazione urgente della Costituzione degli esperti.
Con le variazione sul filo dell’ironia continuerei a lungo: il lettore mi scuserà. Può darsi però che gli editoriali del principale quotidiano nazionale non debbano più essere presi così seriamente da dedicargli tutte queste righe, che non sia serio, se mai lo è stato, prender sul serio Sartori, ma io ancora non mi ci rassegno. Poiché è incredibile che la difesa dei valori costituzionali sia affidata dal Corriere a un articolo così volgare. È incredibile per esempio che in questi giorni si legga sullo stesso giornale l’invito di Claudio Magris a importare in Italia il patriottismo costituzionale di Jürgen Habermas, e che poi l’esperto Sartori inviti il cittadino che non voglia perder tempo con gli studi giuridici a votare non secondo amor di Patria o di Costituzione, secondo scienza e coscienza o secondo certi valori, in ragione dell’appartenenza politico-ideologica o di un’ispirazione ideale, in difesa di legittimi interessi o avendo di vista il bene comune, ma secondo il parere degli esperti –non importa nemmeno se compreso o no. Difficile trovare uno scienziato della politica che abbia un’opinione così volgare (ripeto: volgare) dell’agire politico e delle sue forme democratiche di espressione.
Voterò no al referendum. Vorrei che il potere di scioglimento delle Camere rimanesse in capo al presidente della Repubblica. Vi sono aspetti della riforma, in tema di Senato federale e di distribuzione delle competenze esclusive e concorrenti fra Stato e Regioni che temo peggioreranno i rapporti fra i diversi livelli istituzionali, ma è soprattutto il senso politico di una vittoria del sì che osteggio, perché sono tra i pochi che non sente alcuna urgenza federalista: il regionalismo mi basta e forse m’avanza. Quando Sartori mi indicherà a quale categoria appartengono gli esperti del senso politico di un referendum – costituzionale o meno che sia – ne conterò il numero. Per ora, il lettore mi scuserà, ma ho volutamente risolto in poche righe la mia motivazione al voto di domani, perché l’esperto Sartori si scandalizzi che un cittadino italiano voti sulla base di un parere così poco fondato in dottrina.