Tv percepita

Quest’anno, d’agosto, si porta il caldo “percepito”, che è quello di sempre, ma peggiorato dalla impazienza propria del momento storico. Quindi la colpa è nostra e non del caldo. Con la tv percepita i ruoli si invertono perché se le varie botteghe replicano idee, facce, formati, la percezione dell’insieme non resta uguale, ma peggiora. Perché la tv è innanzitutto un mezzo e un modo per raccontare. E i racconti, se qualche novità non interviene di tanto in tanto a ravvivarli, si perdono, come le acque del Giordano, nelle sabbie della noia. Questo, almeno, è quanto vale per la televisione lineare, quella legata alle fasi della giornata, con le campane dei notiziari qua e là, con l’access prime time che lo segui di spalle e il prime time che lo osservi di fronte, magari dormendo. Quella tv che, proprio perché si stende sui ritmi ricorrenti della quotidianità, deve innaffiarla con eventi e pseudo eventi che navighino nella direzione della corrente anziché sottolinearne la scontatezza.

A naso, per quanto si può giudicare dal mercato delle star e dagli annunci in corso, la percezione della tv lineare è destinata nella prossima stagione a peggiorare perché non si intravedono novità di format né di palinsesto né di programma. A partire dalla Rai che, mancato l’appuntamento con la sua riforma, pare destinata ad una stagione intermedia di mera sopravvivenza. Da qui l’incredibile centralità assunta dal contratto di Fazio dove tutti si sono sforzati di dare il peggio. Da un lato Rai e Fazio, ancorando le cifre a un giustificazionismo mercantile («con la pubblicità ci si guadagna entrambi») ieri riesumato in Commissione parlamentare dal Dg Orfeo, ma privo di qualsiasi fondamento reale (perché le star brillano, sì, ma solo perché dietro la volta del cielo c’è l’azienda che gli porta la corrente) e demolitorio nei confronti della stessa ragion d’essere di un servizio pubblico potentemente finanziato dal canone (per di più, finalmente, inevadibile). Non meno insopportabili i politici predatori che nella Rai vedono solo l’erbivoro sottostante nella catena alimentare della visibilità (anche se, azzannando, qualcuna ne azzeccano, come la incompatibilità dei ruoli di agente delle star e di produttore dei programmi delle medesime).

Una fioca luce di novità potrebbe, è vero, comparire su La7 perché il duo Salerno-Cairo sta mettendo in campo molte carte anche se pescate da mazzi diversi: quello della cosiddetta “tv intelligente” (a partire da Diego Bianchi) e l’altro della “tv della ggente” (ultimo acquisto Giletti che sembra si porterà appresso l’Arena per non far rimpiangere la Gabbia). Il rischio, ovviamente, è che il primo versante si perda nel sublime e il secondo affondi nel gaglioffo. Entrambi noiosi e sovrabbondanti nel sistema tv. Ma se invece gli riesce il miracolo di usare l’intelligenza e la gaglioffaggine come linguaggi anziché come contenuti, allora percepiremmo una tv più sopportabile. Come speriamo accada, prima o poi, con questo caldo d’agosto.