Il 9 era il centravanti. O il centrattacco. E sapevi che in “quella” Lazio lì lo aveva Chinaglia. Così come il 7 di “quel” Torino era Claudio Sala. E via con il calcio-che-non-c’è-più, e le bandiere, e il mito del buon atleta. Chissà se l’altra sera Gigi Riva ha pensato a tutte queste cose – vere ma anche un po’ dolciastre – quando, durante una cerimonia quasi sacrificale, il Cagliari ha deciso di bloccare con un’istantanea giallo seppia il bel tempo andato e ha ritirato la mitica 11. C’erano riconoscenza, nostalgia, commozione ferrigna allo stadio. Ma c’era anche un tentativo goffo di resurrezione di un quadretto agreste che forse non è mai esistito. Sì, è stato il diavolo moderno del merchandising a imporre il marchio dei nomi sulle spalle e i numeri impazziti, e può darsi che allora si fosse tutti più ruspanti e veri con gli eccetera di etica che ne derivano. Ma può anche darsi che il “nuovo” calcio abbia bisogno di legittimarsi perfino per negazione. E Riva – che è un grande – lo sa.