L’importanza di chiamarsi Grosso

Forse Marcello Lippi, quando ha stilato la lista dei rigoristi al termine di quei centoventi, terribili minuti contro la Francia, ha pensato a Fabio Grosso e a come il destino, talvolta, si diverta a scegliere strumenti insospettabili per portare a compimento i suoi disegni. Grosso, il terzino scoperto dal Perugia di Gaucci in mezzo a mediani finlandesi e a difensori iraniani, membro di una difesa – quella del Palermo – convocata in blocco nonostante gli oltre cinquanta gol incassati nell’ultimo campionato non facessero pensare a una barriera impenetrabile. Non esattamente l’identikit di giocatore da cui, un mese fa, si potessero aspettare le giocate determinanti per mettere le mani sulla Coppa del mondo. E invece dapprima la serpentina che provoca il rigore decisivo di Totti contro l’Australia, poi il sinistro a giro da attaccante consumato negli snervanti supplementari contro la Germania. Più decisivo lui nell’aprirci la strada verso la finale rispetto ai protagonisti annunciati: i Totti, i Toni, i Gilardino.
Forse Lippi si sarà domandato: “Meglio sfruttare lo stato di grazia di Grosso o non sfidare ulteriormente la sorte?”. Gli uomini del destino francese, quelli che ci avevano castigato a Rotterdam nel 2000, deludono: un Wiltord impalpabile e un Trezeguet responsabile dell’errore decisivo dagli undici metri (e chi di traversa ferisce, di traversa perisce, citofonare Di Biagio per averne conferma). Forse questi sono segni: la fortuna gira dalla nostra parte. E il posto di quinto rigorista non è andato a specialisti come Pirlo e Del Piero, non a gente avvezza ai tiri dal dischetto come Iaquinta, Toni o Materazzi, ma a Grosso. Il quinto rigore, quello che chiude la serie decisiva, quello del chi segna vince, quello dove la palla sembra fatta di ghisa e la porta larga tre centimetri, mentre le tue spalle sono gravate dal peso di una nazione che aspetta solo un tuo cenno per scatenare il delirio. Se il destino aveva scelto noi e non i bleus, se quello e solo quello era il momento in cui l’Italia doveva vincere il Mondiale, l’unica persona che poteva regalarcelo era Fabio Grosso, l’uomo del destino. Simbolo meno appariscente del Paolo Rossi dell’82, e forse per questo ancora più significativo. Non ci ricorderemo di un grande centravanti, ma di un terzino sinistro che fino a qualche anno fa giocava in Serie C2.