Lettera di risposta al nostro appello
Viviamo in un tempo dominato dai mutamenti imposti da una realtà enormemente velocizzata, in un mondo globalizzato e tale da sconquassare intere realtà lavorative a cui le passate generazioni credevano che noi giovani avremmo un giorno preso parte. È un’epoca in cui le sfide ideologiche vengono svuotate di senso per la sconcertante difficoltà di decriptare le linee evolutive di una società incapace di gestire i più cupi risvolti della modernità, e che al contempo mostra possibilità di sviluppo lì dove prima non ve ne erano affatto. Quella a cui apparteniamo è un’epoca che infligge alla nostra generazione un conto molto salato, l’inevitabile precipitato di condotte di discutibile saggezza e moralità – per non dire riprovevoli – tenute da alcune delle generazioni che ci hanno preceduto, che hanno copiosamente banchettato a nostre spese.
Apparteniamo ad un’epoca in cui emergono con forza tutte le contraddizioni e gli squilibri di una globalizzazione che subisce oggi una battuta d’arresto sotto i colpi della più profonda crisi economica dal ’29, immersi in una realtà in cui sarà sempre più difficile individuare soluzioni. Soluzioni politiche, ma anche, sul piano individuale, esistenziali, che si addicano alla nostra identità (personale e storica) e che diano contestualmente risposta ai milioni di giovani disoccupati che hanno scelto di rimanere in Italia, coniugando il diritto alla maggiore flessibilità che il mondo ci impone e fronteggiando le sfide che inevitabilmente ci imporrà l’emersione delle nuove tecnologie (v. robotica).
Generazioni perdute, sfida contro il tempo. Viviamo in un’epoca in cui sembra che lo Stato abbia rinunciato al proprio ruolo di guida nell’economia. Se è vero che il varo di misure incentivanti rispetto all’assunzione di giovani nel comparto privato – come l’introduzione di sgravi fiscali ovvero decontributivi – costituiscono un notevole stimolo all’assorbimento dell’offerta lavorativa che la nostra generazione mette a disposizione, tali misure forniscono, tuttavia, solo una parziale risposta rispetto al complessivo ruolo che l’attore pubblico dovrebbe interpretare nel governo della sfera economica.
Abbiamo i minuti contati e solo una grande assunzione di responsabilità da parte della classe politica del paese potrà farci voltare pagina: è necessario – in ottica keynesiana – che anche nel settore pubblico venga sbloccata la situazione. Ricordiamoci – pur non riproponendo eccessi e storture che hanno caratterizzato gli anni passati e di cui oggi viviamo gli effetti sulla nostra pelle – cosa abbia significato, per le generazioni dei nostri genitori, avere la possibilità di entrare a far parte della PA, avere uno stipendio e potersi costruire un futuro progettando in maniera proattiva la propria esistenza di cittadino, elettore e, perché no, consumatore.
Non abbiamo tempo da perdere, e per questo, dobbiamo lottare assieme: Parliamone il 16 e 17 settembre a Tarquinia!
Jacopo Arpetti