Ieri commentavamo qui il tentativo di Franceschini di obbligare i broadcaster a innalzare, e neanche di poco, la quota di fatturato con cui finanziare la produzione made in Italy. Ottima e strategica intenzione per avere più lavoro qualificato in Italia. Il ministro ha detto di avere ricopiato, pari pari, la norma francese. Ma lì il sistema televisivo se lo sono plasmato pezzo a pezzo a colpi di leggi, mentre da noi, or sono quarant’anni, si è lasciato fare ai poteri in campo, e le leggi più che a plasmare hanno badato a ratificare quel che c’era e conveniva al Duopolio fra giornalismo Rai e Publitalia. In più, e non è cosa da poco, il contribuente francese sovvenziona tutta la filiera, dal cinema alla televisione, con una montagna di denaro ben più alta delle misure italiane. Ed è ovvio che quando il padrone è generoso è più facile non sabotare le sue leggi.
Per questo pensiamo che il governo, se non vuole vedere arenarsi fra proteste e sabotaggi le sue ottime intenzioni, debba guardare sì alla determinazione francese, ma anche alla flessibilità inglese, cercando di aiutare l’una con l’altra. La trovata inglese, che funziona magnificamente da tredici anni, è consistita nel promuovere, armonizzando bastone e carota, una riforma dei rapporti contrattuali fra broadcaster e produttori indipendenti, con l’obiettivo che ai secondi resti la proprietà di ciò che realizzano “su commessa” di Bbc e compagnia. Da allora i produttori, per la gioia dei broadcaster, si danno da fare in ogni modo per radunare capitali e dargli un prodotto ben più robusto di quanto permetterebbe il prezzo pagato dal broadcaster committente. Perché? Perché i produttori, essendo proprietari di quel “made in Uk”, vogliono rivenderselo ovunque e in mille modi, e per questo lo fanno con soldi e cura. Per la fortuna propria e della Regina.
Perché da noi non avviene così? Perché, disgraziatamente, i broadcaster non sono parte di un sistema, ma “incumbent (dominatori del mercato) per caso” – infatti non c’è all’estero un sistema tv che somigli a quello italiano – e non vedono ragione di non spremere fino in fondo i vantaggi della posizione. Ecco perché servirà una legge che li costringa a scommettere sul futuro piuttosto che abbuffarsi del pane quotidiano che gli è toccato in rendita. Una legge, tuttavia, “ordinatrice di rapporti fra imprese”, senza la pretesa di modellargli i bilanci d’esercizio. Aggiungi che nei confronti della Rai (il pilastro del sistema) il governo dispone di strumenti assai convincenti (Convenzione e contratto di Servizio, manovra del canone, affollamenti pubblicitari), e qui uno arriva perfino a pensare che sia possibile trovare la quadra fra necessità nazionali e dinamiche di impresa. Insomma, adelante Dario, ma con juicio.