Il grosso della torta dei ricavi pubblicitari che da quaranta anni ingrassano Mediaset e sovvenzionano parzialmente la Rai si genera nella fascia oraria che inizia attorno alle 19, con i giochini in finta diretta, e si spegne verso mezzanotte, quando a seguire la tv restano solo gli insonni e i guardiani notturni. E così, presi dalla esplosione degli ascolti di Sanremo, Montalbano e De André, ci stavamo già assuefacendo all’idea che la Rai stesse vincendo a mani basse nella classifica degli ascolti di questi primi quarantacinque giorni del 2018 e che qualche sostanziale beneficio ne sarebbe derivato in prospettiva per le casse del servizio pubblico.
E invece no, perché proprio oggi abbiamo fatto qualche conto più preciso e ci siamo accorti che, rispetto all’anno passato, dal primo gennaio l’insieme dei canali Rai cala di mezzo punto di share (dal 41,6% al 40,1%) mentre a uscire più forte è Mediaset, che zitta zitta guadagna esattamente quel che la Rai ha perso. Ma in entrambi i gruppi diviene più rilevante il peso della rete ammiraglia a scapito dei canali di contorno che smagriscono. Il risultato è che le reti di misura intermedia (Raidue, Raitre, Italia uno, Retequattro) cominciano a sentire sul collo il fiato di La7 che è aumentata di mezzo punto abbondante mentre quelli scendevano, invertendo la contrazione degli ultimi anni. Il risultato – al di là della congiuntura elettorale che premia i talk show di Cairo – sembra discendere essenzialmente da due fattori: lo scambio fra La Gabbia di Paragone e L’Arena di Giletti e gli accenni di consolidamento della serata di venerdì dove si è fatta meno sparuta la pattuglia degli happy few che seguono gli ex di Gazebo (ora Propaganda Live). Sicché se a editore e direttore poco poco riuscisse di inventarsi un’altra serata e/o rendere più attrattiva e fidelizzante l’offerta pomeridiana, specie dalle 19 in poi, Retequattro – che già oggi è stata raggiunta – verrebbe immediatamente distanziata e la campana suonerebbe forte anche per Italia uno.
Resta da chiedersi se i ricavi pubblicitari giungerebbero a premiare l’aumento di pubblico e ad attivare – finalmente, dopo decenni – il circolo virtuoso fra margini di bilancio e investimenti in prodotto. In astratto è quel che ci si potrebbe aspettare, perché una rete commerciale, in sostanza, vende il suo pubblico e, se questo aumenta, dovrebbero aumentare in proporzione anche i ricavi. Il che accade, ma solo quando si verificano veri salti di continuità nella distribuzione dell’audience, perché nel tran tran dei piccoli mutamenti dominano i rapporti di forza sedimentati nel tempo, cementati dalla struttura del Duopolio Rai-Mediaset. Di idee riformatrici al riguardo in campagna elettorale non ne abbiamo udita alcuna. Né è probabile che le nuove, centripete, assemblee, possano voler turbare qualcuno degli equilibri esistenti, tantomeno in tv. Però, per la stessa ragione, il margine di manovra del Parlamento sarebbe minimo rispetto alla vicenda degli ascolti e del mercato. Come in un Paese normale, e in questo piccolo varco potrebbe infilarsi qualche novità.