A casa tutti bene di Gabriele Muccino ha esordito con 4 vigorosi milioni di incassi nella settimana appena conclusa. Seicentomila gli spettatori in poltrona, fra cui noi, giusto ieri sera. Al partire dei titoli di coda i volti dei presenti irradiavano serenità, perché nel prisma di caratteri e situazioni appena passato sullo schermo ognuno aveva proiettato l’analogo del proprio ecosistema familiare. Così, grazie all’effetto “mal comune mezzo gaudio”, tutti facevano, temporaneamente, pace con se stessi, in quanto esistenzialmente presi da non dissimili problemi e parenti. Aggiungiamo che Muccino da sempre (pensando ai titoli di produzione italiana nei quali ha potuto più manifestarsi come autore) esplora i sentimenti in quanto relazioni, come frutto della dimensione sociale degli individui piuttosto che dell’intima natura ed evoluzione dei singoli. E siccome tra persone capitano cose, è l’azione che viene in primo piano e che legittima un tempo narrativo assai serrato. Questo tipo di ingranaggio, se applicato in un cinema, evita che il pubblico in sala si annoi, si rigiri in poltrona, ed esageri coi rumori di popcorn masticato e coca deglutita; ma è anche molto adatto alla televisione dove, se si allenta il rimbalzo fra attesa ed evento, lo spettatore, altro che prigioniero della poltrona, ci mette niente a passare altrove con semplice colpo di telecomando.
E così le ragioni del successo di A casa tutti bene ci pare di averle trovate sia sul piano del contenuto sia su quello dell’espressione. Mentre del tutto oscure ci paiono le ragioni del trionfo di Cinquanta sfumature di rosso, che di soldi e spettatori ne sta macinando, per ora, il doppio dello stesso Muccino. Le cinquanta sfumature, avendone letto qualche pagina nel primo titolo della serie eponima, ci parvero l’Harry Potter dell’educazione sentimentale, condotta fino alla prospettazione di sensazioni sado-maso depurate di ogni carattere sulfureo. Testimoni ci dicono che a fare quella gran folla al cinema siano essenzialmente i più giovani. Ma anche a prendere per buona la constatazione, non ne ricaviamo di certo la spiegazione del perché una cosa che a noi è parsa inequivocabilmente noiosa riesca a mobilitare 1.600.000 giovani (ci sono Partiti che alle prossime elezioni quella cifra se la sognano) e a fare incassare 12 milioni di euro in due settimane ai produttori che ne hanno tratto il film.
Sicché le alternative sono due: o ce ne restiamo separatamente soddisfatti, noi col Muccino e loro col frustino, oppure noi ci travestiremo quanto basata per trasferirci di là con gli occhi fissi non allo schermo, ma all’affollata platea, che contiene il film della realtà che fatichiamo a percepire. Magari una di queste sere.