Viaggiavamo per caso sulla via Flaminia a poca distanza da Civitavecchia, quando ci siamo fermati per un caffè e lì chi ti abbiamo trovato? La sintesi vivente del voto cosiddetto populista. Noi che sorseggiamo e lui che scorre a sbafo il Messaggero trovato a sbafo sul bancone, noi che scuotiamo la testa per il solito titolone su Roma inguaiata. Lui coglie la mossa e da lì inizia lo scambio di chiacchiere (si fa per dire: lui parlando, noi annuendo, più o meno) da cui emerge che lui è sempre stato “sociale”, che ha 76 anni e quindi è da molto in pensione dopo una vita di lavoro come impiegato presso un ente pubblico, che ha due figli di cui il primo ultraquarantenne negli Stati Uniti e la seconda al lavoro in una società ex statale da poco privatizzata, che lui ha servito volontariamente nei servizi di ambulanza. E al fondo della bio arriva la scelta di schieramento (nel frattempo lui aveva ampiamente sgamato il nostro stare fra Renzi, Bonino e il calendismo).
Ebbene lui per la Camera dei Deputati darà il voto al Movimento 5 Stelle «perché so’ onesti, rispetto a ‘sti magnoni», mentre al Senato voterà Salvini, perché ha candidato Giulia Bongiorno che – me lo dava per sicuro – «ce farà spara’ a chi c’entra in casa senza teme’ de fini’ ’n galera». («Ma po’ esse’ pure che a vota’ nun ce vado proprio. ‘Na vorta me sembrava che Berlusconi… ma poi ho visto che se faceva solo l’affari sua»). Al che noi ci siamo ringoiati l’erompere del richiamo al buon operare degli ultimi governi, alle statistiche finalmente sorridenti, alle conquiste dei diritti civili nell’unirsi e nel morire. Perché era chiaro che lui non disponeva delle orecchie per sentirci così come noi ci aggiravamo smarriti nelle parole che lui così generosamente ci stava – essendo in autogrill – erogando. Lo abbiamo lasciato con saluti cortesi. E ci siamo rituffati a tavoletta nella bolla di quelli che ci somigliano, lasciando lui nella sua. Anche se il problema sarebbe di farle scoppiare entrambe.