L’assurdo dibattito di questi giorni su quello che dovrebbe o non dovrebbe fare il Pd dimostra anzitutto quanti imprevisti e perniciosi effetti collaterali ha avuto la sua lunga permanenza al potere in governi di larghe intese, e il conseguente abuso, da parte degli stessi democratici, di una certa retorica della responsabilità. Prigioniero del ruolo, il Pd è diventato come uno di quei genitori di cui i figli non smettono un minuto di dire peste e corna, ben sapendo che non per questo smetteranno di portare il pane a casa e pagare le bollette. E così da un lato si rimprovera al Pd un atteggiamento paternalistico e supponente, dall’altro però si continua a pretendere che si faccia carico del governo del paese, quasi che gli spettasse per diritto di nascita, indipendentemente dall’esito delle elezioni. Come se tutti gli altri partiti non fossero mai abbastanza grandi per cavarsela da soli, e rispondere in proprio, una buona volta, delle loro parole e delle loro azioni. L’effetto collaterale più sgradevole è però quello che potremmo chiamare una desemantizzazione degli insulti a dirigenti, militanti ed elettori del Pd. I quali sono tenuti a prenderle senza reagire, proprio come ci si aspetta che faccia un genitore con un bambino di due o tre anni (già a quattro non sarebbe consentito). Dare loro dei mafiosi, dei corrotti o semplicemente dei dementi è considerato ormai, da un’ampia fascia di intellettuali e commentatori, quasi doveroso. Mentre qualsiasi replica da parte delle vittime di questa incessante gragnuola di contumelie è immediatamente stigmatizzata come arroganza, dimostrazione di un carattere orgoglioso e antipatico, chiusura al dialogo e al confronto. La campagna per spingere i democratici a sostenere un governo Di Maio è un esempio eclatante di questa deriva, e merita una risposta educativa forte. Se il Pd non vuole passare il resto della sua vita a raccogliere da terra i calzini dei suoi avversari, farà bene a prendersi una bella vacanza all’opposizione, lasciando che tanti cortesi avversari e tanti amabili commentatori si cucinino da soli la ricetta di governo che preferiscono. Sapendo però che stavolta dovranno anche mangiarsela.