Sospettata di appartenere alla setta ribelle dei Pugnali volanti, la bellissima danzatrice cieca Mei sarà circuita da Jin, che la libera dalla prigione e la segue nella foresta al solo scopo di infiltrarsi nell’esercito nemico. Ma proprio come nel precedente Hero, anche nella Foresta dei pugnali volanti nessuno è chi dice di essere. Dietro ogni azione c’è un fine nascosto, un doppio gioco, un inganno. E quasi viene da chiedersi, pensando alle opere precedenti del regista dissidente Zhang Yimou, quanto vi sia di autobiografico in tutto questo.
Hero celebrava la dura necessità della storia, il sacrificio dell’eroe che giunge a un passo dall’odiato tiranno eppure rinuncia a ucciderlo per il bene del paese, lasciandosi giustiziare perché il crudele monarca possa imporre la sua pace e riportare tutte le diverse comunità “sotto un unico cielo”. La foresta dei pugnali volanti rappresenta il negativo della stessa visione: la storia d’amore impossibile e dai richiami scespiriani tra Jin e Mei, divisi irreparabilmente dalla guerra e dalle rispettive appartenenze, riafferma in fondo la stessa superiorità della storia sull’individuo. Le premesse ideologiche sono del resto già ampiamente chiarite dalle poche righe che introducono la vicenda: nel IX secolo dopo Cristo il declino della dinastia Tang e la debolezza del potere imperiale hanno portato al diffondersi della corruzione, delle violenze e degli eserciti ribelli. E non a caso è proprio grazie alle lotte intestine e alle gelosie che colpiranno gli stessi ribelli che si aprirà la strada, non visto, il Fortebraccio senza scrupoli destinato a trionfare nel sangue, proprio come nella corrotta Danimarca di Amleto.
Anche La foresta dei pugnali volanti celebra dunque la costruzione della nazione, giustifica la violenza come levatrice della storia e sacrifica l’individuo al suo corso. Ma se Hero avrebbe potuto intitolarsi Illuminazione a mezzanotte, versione rovesciata del capolavoro antitotalitario di Koestler, con il dissidente che cede agli interrogatori dei suoi aguzzini e comprende l’errore, confessa il proprio peccato di narcisisitico individualismo e riabbraccia finalmente la causa, La foresta dei pugnali volanti è forse meno esplicito nella sua funzione didascalica (o se preferite di propaganda), raggiungendo comunque vette di perfezione formale e potenza evocativa rare a trovarsi nel cinema di oggi. Una perfezione che si trova forse soltanto in alcune inquadrature di Eisenstein, o magari in certe lunghe sequenze di Leni Riefenstahl.