Ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata da Arturo Parisi a Dario Di Vico, uscita sul Corriere della sera del 4 agosto 2005, nel pieno delle polemiche sulle scalate ad Antonveneta, Banca nazionale del lavoro e Rizzoli-Corriere della sera (il titolo originale era: “Allarme di Parisi: torna la questione morale”; catenaccio: “«Dalla Rai alle banche troppe commistioni tra la politica e l’economia» «Su Unipol esitazioni dei Ds. Inevitabile la supplenza della magistratura»”)
È da tempo che non si sentiva parlare di questione morale. Lo fa Arturo Parisi con toni assai preoccupati e tirando in ballo la stessa qualità della democrazia. «Il pericolo più grande resta a mio parere il populismo e il qualunquismo — sostiene il presidente dell’Assemblea federale della Margherita —. Ma l’unico modo per evitarlo è mettersi dal punto di vista del cittadino comune. Se la politica non interviene tempestivamente rischia di riaprirsi una nuova questione morale. L’esito può essere una rivolta populistica o il cinismo di massa».
Da dove deriva tanto pessimismo?
«Guardi alle vicende di queste settimane, dalla Rai a Bankitalia passando per l’accordo Berlusconi-De Benedetti e la scalata alla Rcs, con un occhio limpido e ingenuo e vedrà il fondamento della mia preoccupazione. I partiti si sono ripresi la scena ma la confusione è tanta e c’è il rischio che la domanda di alternativa che sale dalla società abbia come risposta null’altro che un’offerta di alternanza».
Cominciamo dalla Rai. Come giudica la presidenza Petruccioli?
«Come non vedere una confusione di ruoli tra maggioranza e opposizione, tra le responsabilità del vigilante e l’ente vigilato?».
Ma Petruccioli era il candidato ufficiale dell’Unione e la legge prevede un voto bipartisan per il via libera parlamentare.
«Da un punto di vista formale l’obiezione è ineccepibile così come è fuori discussione il giudizio sulle qualità personali di Petruccioli. Ma che dire dei comportamenti? A cominciare dall’incontro con Berlusconi che certo è il presidente del Consiglio ma prima ancora il padrone di Mediaset. Come meravigliarsi se un giornale sicuramente non estremista, Avvenire, poi titola “Alla Rai Petruccioli, a Mediaset la serie A”? Come non farsi carico della sensazione di baratto che un titolo come questo non può non ingenerare nel parroco o nel ragazzo di oratorio che lo ha letto?».
Si possono rassicurare parroci e giovanotti dicendo loro che Petruccioli ha già dichiarato di voler riportare in video Biagi e Santoro.
«Ma ha anche detto che Berlusconi al governo “non ha fatto troppo bene”! E comunque quella su Biagi è per ora solo una dichiarazione di intenti. Il punto all’ordine del giorno del Cda della Rai di oggi è la nomina del direttore generale, la cui voce non è certo irrilevante nel decidere chi va in video e chi no. Una nomina per la quale ho sentito Petruccioli dichiarare che avrebbe votato qualsiasi direttore generale a patto che non fosse un delinquente o un incapace, quasi che il ruolo del Presidente fosse quello del notaio o del succube e non invece quello di un protagonista attivo».
Se il presidente della Rai fosse diventato Giulio Malgara vicinissimo a Berlusconi l’elettore dell’Unione sarebbe stato più contento?
«No di certo, ma sarebbero state più chiare le reciproche responsabilità».
Anche la partnership tra Berlusconi e De Benedetti le sembra censurabile?
«Dal punto di vista del codice civile è ineccepibile. Ma le norme più importanti della Repubblica sono quelle non scritte. E la più importante di esse è quella che, per dirla con le parole di Carlo Cattaneo, ci ricorda che “la libertà è una pianta con molte radici”, una pianta che si fonda sulla distinzione tra piani diversi. Quello della morale, della politica, della religione, degli affari, della informazione. Anche da questo punto di vista l’alleanza sarebbe ineccepibile perché riguarda uomini di affari che fanno affari nel mondo degli affari. Macome ci si può alleare con chi è responsabile della confusione e del conflitto tra i diversi piani senza alimentare peraltro la confusione che fino ad ieri è stata aspramente denunciata? Come si può immaginare che l’alleanza appaia confinata al solo mondo e alla sola logica degli affari? E quindi non farsi carico del profondo sconcerto che l’episodio produce agli occhi del cittadino comune?».
Anche Prodi dopo l’Iri e prima dell’Ulivo è stato a lungo consulente della Goldman Sachs.
«Attenzione, in momenti diversi della sua vita. E comunque è un principio che se si dovesse dare il caso non potrebbe che valere anche per lui come per ognuno di noi».
E nell’Opa che Unipol sta lanciando sulla Bnl vede anche lì puzza di bruciato?
«Ci sono domande alle quali non sono state date risposte convincenti. L’ispirazione mutualistica che sta alla base dell’esperienza cooperativa non può essere trasposta in una condizione e su una scala diversa, non ci si può trasformare in raider di Borsa con l’aiuto del fisco».
I vertici dei Ds hanno dunque sbagliato ad appoggiare i progetti dell’Unipol?
«In nome del realismo hanno esitato nel farsi le domande giuste. E così guidati dall’istinto che porta ognuno a difendere il proprio mondo hanno dato l’impressione di avallare una regressione neo-corporativa. Il vero virus è ed è stato il conflitto di interessi alla Berlusconi. Dobbiamo assolutamente evitare di esserne in qualche modo contagiati tutti».
E il leader del suo partito Rutelli ha fatto bene a criticare i Ds?
«In questo caso ho condiviso e condivido le sue posizioni. L’impossibilità di affrontare il tema col respiro che merita ha consentito purtroppo di far passare il confronto per una “polemichetta” ».
Banche e governatore. Anche a Palazzo Koch gli interessi le sembrano aver la meglio?
«Da cittadino comune ho letto sui giornali quello che hanno letto tutti. Di fronte allo spettacolo al quale siamo stati costretti ad assistere, dire che le dimissioni del governatore sono opportune è eccessivamente riduttivo. Sono doverose. Se dovesse prevalere un atteggiamento irragionevole spero proprio che il Consiglio superiore della Banca d’Italia si faccia carico della sua responsabilità ed eserciti i suoi poteri. Lo dico pensando alle persone autorevoli che lo compongono. Basti per tutti Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale».
Nel centro-sinistra c’è chi dice «teniamoci Fazio sennò Berlusconi ci mette un altro Marzano».
«È un argomento che di fronte alla enormità dei fatti appare misero. Che vantaggio potrebbe mai cogliere il centro-sinistra dalla delegittimazione ulteriore dell’istituzione Bankitalia e dalla conseguente perdita di credibilità del nostro Paese?».
Vede con preoccupazione anche la scalata degli immobiliaristi alla Rcs?
«Il sistema dell’informazione deve restare autonomo. È evidente invece che lo si vuole destabilizzare con fini che non so se siano prima politici o finanziari. O tutti e due insieme ».
Ma stiamo andando verso una nuova supplenza della magistratura? La questione morale riporta le toghe a diventare protagoniste?
«È l’esito inevitabile quando la politica e le istituzioni non fanno la loro parte o peggio fanno parti che non sono le proprie. Come non comprendere in questi casi il cittadino comune che pensa “meno male che ci sono i giudici”? La democrazia è responsabilità dialettica, se l’immagine che proponiamo è quella della commistione dei ruoli e degli interessi e dell’omologazione tra schieramenti ridiamo fiato al populismo che avevamo pensato di aver sconfitto».
Immagino che lei sia portato a guardare con sospetto alle trasmigrazioni del centro-destra verso l’Unione e segnatamente verso la Margherita?
«Il fine della politica è far cambiare opinione agli avversari. È trasformismo quando non c’è un cambiamento evidente e manifesto delle opinioni. Noi dobbiamo invece dimostrare ai cittadini che siamo alternativi al sistema di potere berlusconiano e conquistare alle nostre ragioni anche chi è stato in passato nostro avversario. Guai se la gente pensasse che ci stiamo acconciando al “una volta per uno non fa male a nessuno” ».
Dario Di Vico