Il serial della politica in tv ha smesso di annoiare, e gli ascolti di tutti (Agorà, Carta Bianca, Dimartedì, l’ottimo Piazza Pulita di ieri sera) ne guadagnano. Quelle macchine da chiacchiera oggi beneficiano della circostanza che gli snodi del talk-racconto appaiono tanto chiari quanto carichi di suspense dilemmatica. Di fatto, ognuna delle tre parti politiche in campo si trova a dover decidere con quale delle altre due eventualmente allearsi. Ne consegue la imprevedibilità degli sviluppi, insieme con la profonda differenza degli esiti conseguenti in termini di leggi, tasse, socialità.
Certo, noi abbiamo le nostre idee e pensiamo che gli unici obbligati a mettersi insieme siano Lega e M5S perché entrambi rappresentano la radicalizzazione della voglia di cambiamento, e sono pronti a giocare pesante contro un governo che eventualmente ne escludesse uno e comprendesse l’altro. Ma resta da capire se i due quasi vincitori possano permettersi di uscire dalla campagna elettorale e di passare ai fatti di governo, e quindi dal ruolo del bastonatore a quello del bastonato. E questo proprio quando nella briscola della politica post novecentesca è il bastone che comanda alle elezioni, mentre spade, denari e coppe (eserciti, finanza ed élite) navigano sottotraccia.
La Lega appare più pronta al passo perché per l’elettorato di destra è abbastanza naturale passare dal forza-leghismo centrato su Berlusconi al leghismo-forzato guidato di Salvini. E anche perché al Centro-Nord la robustezza dell’economia offre molte occasioni di voto di scambio fra convenienze di impresa e coltivazione del consenso (la Dc di questa tecnica del potere per il potere è stata mater et magistra). Insomma, al volo della Lega verso il potere non mancano i campi di atterraggio. Per contro non sappiamo se M5S sia invece condannato a restare sempre in volo. Di quale natura è il suo vastissimo consenso elettorale? La spinta della protesta è evidente, ma dove ti porta il volo? Verso una rottamazione senza fine e cioè all’impossibilità di qualsiasi politica? Oppure Casaleggio, Grillo e Di Maio intendono fare sul serio, anche scontando una immediata perdita di popolarità? Ricordiamo che negli anni settanta il Pci, giunto al 34% dei voti, cominciò a declinare non appena assunse responsabilità di governo. La medesima parabola, del resto, disegnata in tempi più frettolosi, dal caso di Renzi.
Ce ne sono dunque, e finalmente, di cose da seguire e capire attraverso i ragionamenti della politica messa in scena dalla tv. Al punto che noi abbiamo momentaneamente smesso di addentrarci in Black Mirror, la serie distopica disponibile su Netflix, perché una volta tanto che la tv funge da lente di ingrandimento non vogliamo perdercela. Poi, lo sappiamo, tornerà al suo strutturale destino di binocolo rovesciato. Ma vorrà dire che la tempesta sarà passata e che noi potremo tranquillamente tornare alle metafore favolistiche. E a pagamento.