Cara Left Wing,
non so se segui il basket. Se la risposta è sì, allora sai che dall’altra parte dell’Atlantico stanno per iniziare i playoff Nba. È il momento in cui le sedici migliori squadre (su trenta che fanno parte della lega: una selezione talmente lasca da far pensare a un cedimento proporzionalista) si preparano alla parte più difficile della stagione, sfruttando gli ultimi possibili giorni di riposo e affinando gli schemi. A proposito di questi ultimi, ce n’è uno affascinante anche per i profani: si chiama backdoor e sostanzialmente consiste nella finta che il giocatore che dovrebbe ricevere la palla fa rispetto al difensore che lo ha anticipato bloccandogli il primo passaggio, per sgusciargli alle spalle e raccogliere la palla in vicinanza del canestro con una sorta di marameo. La reazione tipica dei difensori è un mix di irritazione e sconcerto, una cosa tipo ma come abbiamo fatto a farci uccellare come dei fessi in questo modo; negli spettatori, anche tra quelli che tifano per la squadra che ha segnato, si diffonde una sorta di compassione affettuosa nei confronti di chi se ne stava con gli occhi da lince fissi sul playmaker avversario, concentrato fino allo spasimo e sicuro di avercela fatta a bloccare l’azione d’attacco, che si gira e si ritrova gabbato senza aver capito come, e quando, e perché: ci siamo passati tutti nella vita, in fondo.
In fondo, infatti, ognuno di noi ha le sue linee Maginot: ce l’hai presente, cara Left Wing, sì? Una volta ci sono andato apposta, per vederla con i miei occhi. C’è un memoriale della Linea, sta a Markolsheim, incastrato tra quello che pare essere un impianto di stoccaggio e raffinazione e lunghissimi campi di mais. La si visita in fretta, la casamatta fortificata – una specie di sommergibile da terraferma in cemento armato – un pezzo di ponte e quattro veicoli corazzati. Ma i simboli hanno una forza che va ben oltre ciò che mostrano agli occhi; la Maginot, la linea di difesa che mai i tedeschi avrebbero potuto valicare, non venne mai usata perché i tedeschi stessi non fecero altro che girarci intorno da nord. Centinaia di chilometri di bunker, cannoni, fortificazioni: tutto inutile. Quando sei lì ti ritrovi a fissare questo pezzo di passato, che in quel momento finalmente trova un suo scopo – imprevisto per il suo ideatore, certo – e non puoi fare a meno di pensare a quanto ci affanniamo per difenderci, per attaccare, per prevedere i comportamenti altrui, per controllare tutto nella presunzione di essere gli unici artefici del nostro destino. Poi arriva l’imprevisto, ci aggira da nord ed eccoci giocati: anche dormire con la luce accesa per la paura del buio, anche scriversi una legge elettorale e disegnarsi la coalizione avversaria e credere di buttare via i ferrivecchi non è servito a niente.
Caro Pilu, non si abbatta. Il campionato è appena cominciato.