Nel film, il Giovane Karl Marx arriva fino alla pubblicazione del Manifesto del partito comunista, quando poteva ancora essere coetaneo di noi che incontrammo il suo testo nei primi anni sessanta (con Kennedy, Castro, Kruscev, Paolo VI e le prime stragi di Stato). Fu il coetaneo che ci spinse a sostituire il bandolo della Provvidenza con una qualche filosofia della Storia. Perché al fondo, come tutti, fuggivamo dal sospetto del Caos, e dunque scrutavamo nell’orda dei fatti per trovare il terreno solido dove poggiare le stesse “fisse” valoriali in materia di giustizia e verità (scritte, allora, senza virgolette) che con l’educazione cattolica tenevamo precariamente appese al Cielo.
Insomma, cercavamo un punto di riferimento nella realtà esterna per prendervi la nostra parte. Lo cercavamo con le stesso accanimento con cui ci pare che i ventenni di oggi lo cerchino nei propri talenti personali. Noi cercavamo il simile che condividesse una visione, loro ci pare cerchino piuttosto la convergenza delle passioni. Noi eravamo sicuramente ideologici, loro sicuramente non lo sono. Fermo restando che l’essere o non essere “ideologici” non ha a che fare con l’avere o non avere idee, ma solo col tipo di idee che si hanno.
Il giovane Marx era coetaneo dei ventenni che noi eravamo come lo è dei ventenni che sono. Barba per barba occupava il posto che per altri fu poi quello del Che. Tant’è che non pochi, una volta a Londra, proprio quella swinging dei Beatles, dedicavano una lunga escursione fino al cimitero di Highgate per contemplare il cippo funerario col testone e con l’esortazione all’unità dei lavoratori.
Ovviamente ognuno aveva il suo Marx. Il nostro era contenuto fra il Manifesto che ci dette una rotta e il Capitale che ci condusse in porto. Perché ci convinse ben bene della sua teoria del valore-lavoro, salvo immediatamente concluderne che si trattava di una illuminazione tanto incontestabile sul piano “critico” e morale quanto inutile sotto l’aspetto pratico. Insomma, ti rivelava la struttura dell’atomo del valore, ma se dovevi pensare da economista, da manager, da politico, dovevi prendere a martellate le lamiere, altro che spaccare l’atomo in quattro. In questa irriducibilità fra sostanza e accidente stava peraltro il suo fascino. Il fascino dell’amore impossibile. Per questo Marx dopo averlo sussunto non lo abbiamo mai dismesso: perché era la forma mentis che più ci piaceva e non perché ci fornisse un manuale di comportamento. Al quale dovevamo provvedere per conto nostro, tant’è che ci stiamo ancora arrabattando.