L’elemento più spettacolare delle ultime elezioni è stato il voto di rivolta del fu Regno delle Due Sicilie, che ha posto fine all’unità debole praticata dall’Italia uscita sconfitta e destrutturata dall’ultima guerra. La causa immediata sta nell’esaurimento della leva del debito pubblico e del relativo patto di sostentamento che per decine d’anni ha agglutinato a Roma capitale le borghesie estrattive, i boss delle preferenze, le camorre e mafie territoriali, nonché i tanti che a ridosso ci campavano e che da ultimo, in mancanza d’altro, hanno preso a sperare nel reddito di cittadinanza. Il precipitare economico e dunque sociale del Sud rispetto al Centro Nord inizia con gli anni settanta (al tempo dei «boia chi molla») e accelera negli anni ottanta, fino a intrecciarsi con la cosiddetta fine della Prima Repubblica e a riflettersi nei comportamenti elettorali a partire dagli anni novanta. Dapprima flipperando tra il ceto politico del passato (ed ecco le giunte rosse dei vari Bassolino insieme con l’egemonia del centrodestra alle elezioni politiche). Poi, da alcuni lustri, premiando i soggetti politici “populisti”, da De Magistris a Grillo (che a noi paiono semplicemente “generalisti”, e quindi ottimi, come insegna la tv, per fare audience e creare abitudine d’ascolto).
Sta di fatto che, spinta dalle onde lunghe dell’economia e assumendo le forme del “populismo”, è maturata, nientepopodimeno, la rottura dell’unità nazionale. Non proclamata, per ora, e forse impossibile da compiere perché divorziare costa. Ma incombente come il disamore dei separati in casa. E date queste premesse, qualsiasi governo nazionale dopo il 4 marzo ci sembrerà un ossimoro. Il bizzarro è che la chiave non diciamo per risolvere, ma almeno per temperare la crisi dell’Italia non sta a Roma, né a Milano o a Napoli, ma a Berlino. E non è questione di parametri di Maastricht, di punti di flessibilità, di quote latte, di immigrati da ospitare. Il punto è che solo l’Unione europea, e in essa specificamente la Germania, ha la dimensione strategica, l’ambizione culturale e le risorse per riconquistare il Regno del Sud, esattamente come sta facendo con i paesi dell’Est. Il Centro Nord italiano, pur con tutte le virtù dimostrate nella globalizzazione, non ha le spalle abbastanza larghe né la cultura politica per affrontare l’impresa. Per contro, nella geopolitica corrente, la perdita del Sud italiano e dunque del Mediterraneo metterebbe a rischio i circuiti economici e la governabilità dell’intero continente, Germania compresa.
E così sarà interessante vedere gli antieuropei di casa nostra, spinti dalla loro stessa base elettorale, affannarsi per avere più Europa in misura tale che Monti e Padoan neanche se la sognavano. Così come gli spettatori tedeschi accorgersi che, altro che esotica pizza e mandolino, il Sud d’Italia è anche affare loro, e di quelli grossi. Queste, del resto, sono le vendette che la Storia si prende ogni tanto rispetto ai talk show.