La minaccia del legalismo autocratico

Lo scontro frontale tra la maggioranza parlamentare e il presidente della Repubblica per la formazione del nuovo governo non è solo una crisi istituzionale. La Costituzione assegna al capo dello stato il potere di nominare il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri, senza ulteriori restrizioni. Il presidente della Repubblica non pone alcun veto: esercita un potere, che è quello di nominare ministri da lui condivisi. Il potere di nomina è descritto sinteticamente in Costituzione, e nella storia repubblicana è stato esercitato con diversi gradi di autorevolezza, ma è rimasto spesso sotto traccia perché non si è mai giunti a uno scontro così scoperto (si ricordano i casi di Cesare Previti nel 1994 e di Nicola Gratteri nel 2014, nomi non graditi al capo dello stato e sostituiti dal presidente del Consiglio). Il problema di oggi non è dunque che Sergio Mattarella esorbiti dalle sue prerogative, ma che il presidente incaricato non sia in grado di rispettarle, perché così hanno deciso i leader della maggioranza parlamentare. Lo scontro istituzionale nasconde dunque una questione più profonda e più pericolosa.

La trama antieuropeista del programma grilloleghista è ormai scoperta, ma questa è solo una faccia dello scontro con il Quirinale. Sì, il professor Paolo Savona – improvvisamente assurto, a ottantadue anni, a leader della rivoluzione anticasta – è un problema, ma è un problema che va al di là del suo nome e delle sue posizioni. Il punto è che il presidente della Repubblica è un contropotere rispetto al potere esecutivo. Ridurlo a notaio delle scelte di una maggioranza parlamentare, trasferite a un presidente del Consiglio incaricato che non è in grado di esercitare una vera autonomia, appare come l’inizio di una manovra tesa a costruire una nuova forma istituzionale che in nome della volontà popolare minaccia di smontare l’intera architettura di pesi e contrappesi della nostra democrazia rappresentativa, per come essa è disegnata nella Costituzione: un programma tipico delle cosiddette autocrazie e delle democrazie che ambiscono a diventarlo.

I meccanismi del «legalismo autocratico» (autocratic legalism) sono ben ricostruiti in un articolo comparso sulla Chicago University Law Review, firmato Kim Scheppele. Il legalismo autocratico – spiega Scheppele – si ha quando il mandato elettorale e le riforme costituzionali sono usate al servizio di un’agenda illiberale, per lanciare riforme che rimuovono i poteri di controllo sull’esecutivo, limitano l’opposizione al loro governo e indeboliscono i contropoteri di uno stato democratico. La caratteristica principale di questi nuovi autocrati è mettere in conflitto democrazia e costituzionalismo. Quando il disegno ha successo, entriamo nella dittatura della maggioranza, che può condurre rapidamente a democrazie illiberali, nella migliore delle ipotesi.

In Italia non siamo ancora a questo punto, ma i sintomi di un peggioramento dello stato di salute della nostra democrazia sono già presenti. In questi giorni, molti ripetono ossessivamente che la sovranità appartiene al popolo, dimenticandosi che il popolo deve esercitarla nelle forme e nei limiti della Costituzione, perché al di fuori della Costituzione non c’è la sovranità, ma l’arbitrio. Non è un caso che Matteo Salvini, commentando la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’accesso preferenziale delle famiglie italiane negli asili nido stabilito da una legge del Veneto, si sia chiesto come il buonsenso possa essere incostituzionale. Il punto è chiaro: la Consulta sarà, insieme alla presidenza della Repubblica, il frangiflutti dell’ondata di provvedimenti incostituzionali e discriminatori contenuti nel contratto di governo, e quindi anche ai giudici costituzionali va contrapposta una volontà popolare di cui i nuovi autocrati sono ovviamente gli unici interpreti autorizzati, e che non può essere ostacolata da leggi e regole.

È quello che nel centro d’Europa si è verificato in Ungheria e in Polonia, dove governi legittimamente eletti hanno iniziato a indebolire, prima di ogni altra istituzione, proprio la Corte Costituzionale. È l’attrazione irresistibile dei grilloleghisti per il gruppo di Visegrad, il polo magnetico del nazionalismo populista in Europa. Può darsi, naturalmente, che le dichiarazioni e i gesti più preoccupanti di questi giorni siano presto attenuati. Non sappiamo ancora cosa stiamo affrontando: se la goffaggine di una maggioranza parlamentare arrogante o il primo colpo tirato contro la democrazia costituzionale. Ma il momento della verità è vicino, e sarà bene arrivarci preparati.