Proprio alla vigilia del G-20 di Toronto, la Cina ha annunciato di voler procedere a una lenta e graduale rivalutazione dello yuan. Sembra concludersi, almeno a parole, il lungo braccio di ferro che ha visto prima coinvolto un gruppo consistente di economisti (capitanato dal premio Nobel Paul Krugman) e successivamente pure l’amministrazione americana. Nelle ultime settimane le pressioni politiche si erano fatte così intense che, in una insolita nota ufficiale del dipartimento del Tesoro…

Puntuale come la tradizionale ondata d’aria calda di luglio si è riaperto da qualche giorno il dibattito sullo smembramento dell’ultimo gioiello industriale sopravvissuto in Italia, cioè l’Eni. A dare il via alle danze è stato Alessandro Ortis, presidente in scandenza dell’Authority sull’energia, il quale ha approfittato dell’ultima relazione annuale del suo lungo mandato per tornare a ribadire una posizione già espressa ripetutamente in passato: separare cioè la proprietà dell’Eni dalle grandi reti…

Costruire automobili su larga scala è l’attività più complessa che esista nell’industria contemporanea. Vent’anni fa si diceva che per sopravvivere in un mercato globale dell’auto bisognasse produrre almeno 3 milioni di vetture l’anno. Oggi, con il prepotente ingresso di nuovi attori globali come Cina, India, Russia e Brasile, quella soglia minima è già salita a 6 milioni. Una quota che Sergio Marchionne ha detto di voler raggiungere attraverso un complesso piano di espansione dei volumi di produzione…

Sono passati oltre cinquant’anni da quando Ernesto Rossi coniò la famosa e poco lusinghiera definizione di “padroni del vapore” per indicare i capitalisti italiani. Eppure non troviamo definizione più adeguata per descrivere la guerra dei treni in corso ormai da qualche anno, che ha avuto come suo ultimo capitolo la pubblica denuncia da parte di Luca Cordero di Montezemolo di “illegittimi ostacoli” posti dalle Ferrovie dello Stato al gruppo privato di cui è a capo. Tutto inizia nel dicembre 2006…

Con maggior grazia di quando parlò di apertura dei cancelli dello zoo, ma con analoga arcigna fermezza, Sergio Marchionne ha spiegato domenica sera a Che Tempo Che Fa il piano di sviluppo della Fiat. La sintesi è questa: l’azienda sarebbe perfettamente in grado di prendere a sportellate la concorrenza se non fosse gravata dalla zavorra dell’Italia. Dei due miliardi di utile operativo previsto quest’anno, ha detto Marchionne, non un euro arriva dall’Italia, e in situazioni analoghe…

Mentre Sergio Marchionne se ne stava comodamente seduto sulla poltrona di Che tempo che fa e rispondeva alle incalzanti domande di Fabio Fazio, colpiva il modo con cui proponeva sistematicamente l’eguaglianza fra “industria italiana” e “Fiat”, quasi che le due espressioni potessero essere usate come sinonimi. Non è così. Secondo il rapporto annuale Eurostat del 2009 il settore della produzione di mezzi di trasporto in Italia non è affatto fra i comparti industriali più diffusi in termini di valore aggiunto…

“Abbiamo impedito ai francesi di arrivare in Italia con i loro treni”, ha esclamato pomposamente Luca Cordero di Montezemolo davanti alla Commissione lavori pubblici del Senato, aggiungendo che se le ferrovie francesi vorrano in futuro sbarcare sul nostro territorio lo dovranno fare come azioniste di una società privata. Le agenzie di stampa e i giornali hanno riportato la notizia come esempio di autentico patriottismo, ma anche questo piccolo episodio, analizzato più attentamente, getta una luce…

Tra tante discussioni su produttività e competitività del nostro paese – dalle polemiche sulle dichiarazioni di Sergio Marchionne al dibattito suscitato dal recente intervento del governatore Mario Draghi ad Ancona – si tende a rimuovere un elemento di fondo. Il fatto è che a partire dalla seconda metà degli anni Settanta la riduzione dell’economia italiana a quei settori e a quei modelli organizzativi che ancora la caratterizzano – il made in Italy e la piccola impresa – è stata contrabbandata…

La ricostruzione fornita oggi su Libero da Franco Bechis circa la cronologia del debito pubblico italiano – sotto il sobrio titolo: “Ecco chi ci ha rovinato” – può colpire per la sua particolare tendenziosità, ma non può stupire: il giornale guidato da Maurizio Belpietro, al pari di tutti gli altri quotidiani, segue una linea editoriale ben precisa, sfruttando notizie e ricostruzioni storico-economiche allo scopo di sostenere o giustificare determinate scelte, e condannarne altre…

Il modello tedesco sembra essere diventato improvvisamente di gran moda, almeno per quanto riguarda le relazioni industriali. Dal Corriere della sera al Messaggero, dalla Stampa al Sole 24 Ore, non c’è editorialista che per sostenitore gli accordi di Mirafiori non porti a esempio la Germania. Persino Matteo Renzi, dovendo in qualche modo argomentare la sua posizione a favore di Sergio Marchionne, l’ha messa così: “In Germania i sindacati hanno fatto accordi intelligenti e il mondo delle auto va alla grande…”

Non contento di aver riempito intere pagine di analisi e previsioni sulla crisi che hanno fatto la fortuna degli sciocchezzari neoliberisti di mezzo mondo, Alberto Alesina è tornato alla carica sul Sole 24 Ore di ieri con i suoi vecchi cavalli di battaglia, peraltro già ampiamente trattati nel discusso libro scritto a quattro mani con Andrea Ichino: conflitto generazionale, modello universitario e meritocrazia. La tecnica è sempre la stessa. Consiste nella sistematica e deliberata trasformazione…