L’idea di un partito senza tessere fa discutere, e molto. Comunque, mentre se ne discute, s’è cominciato già con un partito senza simboli. Un partito senza alberi, fiori, bandiere, croci, scudi o altro genere di arnesi, che avrà anche impiegato molto per scrollarsi di dosso le eredità ideologiche del Novecento, ma che non ci ha messo altrettanto nello sbarazzarsi del ramoscello d’ulivo. Nuova stagione, cambio d’abito…

Di questi tempi il discorso pubblico sembra vittima della sindrome del “gioco a somma zero”, per cui ogni decisione politica si risolverebbe sempre in un braccio di ferro tra gruppi di pressione, forze, partiti, dove a un vincitore deve corrispondere sempre un vinto. Quindi: non è possibile fare buone riforme se non scontentando qualcuno (corollario: più sono gli scontenti migliore è la riforma); il dialogo sociale è un freno al raggiungimento di soluzioni ottimali…

A volte qualcuno ci domanda: ma perché vi occupate tanto del Partito democratico? Consapevoli di quanto la risposta possa apparire persino provocatoria, replichiamo che ce ne occupiamo tanto, anche criticamente, perché pensiamo sia l’unica cosa seria di cui occuparsi. Dalle sorti del Pd, infatti, non dipendono soltanto le sorti del centrosinistra e dell’opposizione. Come unico partito degno di questo nome ancora in circolazione, tra tanti partiti monopersonali e monouso, dal suo destino dipende…

Cosa si può dire di un segretario di partito che proponga agli avversari un ambizioso progetto di riforme istituzionali, parlando di occasione storica e non esitando ad aggiungere che il fallimento comporterebbe addirittura “rischi per la democrazia”, e che subito dopo affermi, come se niente fosse, che comunque il suo partito si presenterà alle successive elezioni con un’altra proposta di riforma delle istituzioni e della legge elettorale?