Ad Arturo Parisi bisogna riconoscere un merito. Ci crede. Anzi, di più: se c’è oggi, nel traballante scenario di fine Seconda Repubblica, un politico ancora guidato dall’Idea, questi è il ministro della Difesa. L’Idea di Parisi è l’Ulivo. Che non necessariamente coincide col Partito democratico. Per molti, infatti, il Pd è (bene o male) il coerente approdo finale di dieci anni di ulivismo politico ed elettorale.

Dal punto di vista etico e civile, la campagna in difesa delle intercettazioni e contro la cosiddetta legge-bavaglio si sta rivelando, soprattutto per gli argomenti adoperati da politici e giornalisti, persino più dannosa di qualsiasi soluzione sarà infine adottata. L’ultimo esempio è venuto in questi giorni da Massimo Gramellini, che a “Che tempo che fa” ha ripetuto ancora una volta l’ingannevole ritornello su “tutto quello che non avremmo scoperto in questi anni senza le intercettazioni”…

In luglio ho trascorso alcuni giorni in una villa piena di lobbysti americani. Delle sentenze di cui mi sommergevano facendo previsioni sulle loro primarie – “Thompson is peaking too high too early”, “Giuliani is too of a leftist”, “Hillary is the only Dem who can get the nom, and she is the only Dem who can’t get the presidency”, e altre che ho ripetuto a pappagallo al ritorno, suscitando un certo sconcerto…

Ogni volta che ci capita di leggere – e negli ultimi tempi capita sempre più di frequente – lunghe, pensose e poliedriche interviste a Walter Veltroni su come il Pd potrebbe tornare vincente, è difficile trattenere un ingenuo moto di sgomento. Nessuno, dopo Corea del Nord-Italia 1-0 ai mondiali del 1966, avrebbe consultato il ct Fabbri per chiedergli consiglio su come vincere la coppa del Mondo a Messico ’70. Nessuno proporrebbe a Claudio Scajola una conversazione sulle opportunità del mercato…