Se la Juventus comprava effettivamente gli arbitri, se Luciano Moggi era effettivamente a capo di una cupola che controllava ogni minimo movimento all’interno del calcio italiano, se gli errori arbitrali erano effettivamente frutto di un complotto e se di questo complotto erano attori giornalisti, banche, piccoli trafficanti di calciatori e grandi famiglie del capitalismo italiano del Nord, per quale ragione gli italiani non dovrebbero credere anche alle teorie di Dan Brown?
Analisi e commenti
Ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata da Diego Della Valle ad Alberto Statera, uscita su Repubblica del 9 agosto 2005, nel pieno delle polemiche sulle scalate ad Antonveneta, Banca nazionale del lavoro e Rizzoli-Corriere della sera (il titolo originale era: “Il patto del Corriere è saldo, su Bankitalia parli Ciampi”)
Prima la politica, poi le banche, ora il calcio. L’Italia non è un paese spaccato in due, come una mela. L’Italia è un paese in via di spappolamento, come una mela cotta. A venire meno – o come minimo a mostrare crepe profonde, sotto i colpi degli scandali ricorrenti – sono le sue strutture portanti: prima un’intera classe dirigente, con l’assetto politico che l’aveva generata; poi le basi del suo sistema economico e finanziario, le banche; ora il principale fenomeno sociale di massa, il calcio, con tutto il suo peso economico, culturale e politico…
Caro Direttore, mi chiedi di scrivere, stavolta. Mi chiedi di rompere l’abitudine di telefonarti a notte fonda, di mettere una...
Raccogliendo qua e là spunti e argomenti, mi sono fatto un’idea abbastanza precisa di chi potrebbe ricoprire l’incarico di presidente della Repubblica con soddisfazione di tutti, e in particolare del Corriere della sera, i cui editoriali prodighi di consigli e ricchi di riflessioni ho tenuto in particolare conto nell’analisi seguente. Non sarà il metodo Ciampi, ma sono sicuro che è comunque un buon metodo per raggiungere sin dalla prima votazione una larga intesa, che vada ben oltre i confini della maggioranza di governo, e abbia il plauso della stampa libera…
Nelle righe che seguono vogliamo avanzare l’ipotesi, puramente ricostruttiva e mancante di qualsiasi notizia riservata, che nella notte tra venerdì e sabato scorso il capo del governo uscente, dopo essersi accorto che Andreotti poteva essere eletto veramente alla presidenza del Senato (e non si limitava quindi a fargli fare un figurone davanti agli italiani moderati), sia stato costretto a correre in soccorso…
Ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata dall’allora deputato del Pds Franco Bassanini ad Antonio Padellaro, uscita sull’Espresso del 31 maggio 1992, nel pieno del dibattito sull’elezione del presidente della Repubblica (l’occhiello recitava: “Quirinale/candidati mancati – Il consigliere di Craxi in corsa per il Colle? Il deputato Bassanini ha avuto un sussulto: lui non lo avrebbe mai votato. Qui spiega perché”)...
“Non potete costringermi a fare la parte della stronza, io lo amo ancora”. Lo ha detto Anna Falchi a chi le suggeriva di tutelarsi e precipitare i tempi della crisi…
Le nostre ultime elezioni non possono essere spiegate, nelle loro molteplici inspiegabilità, senza porsi una domanda: perché tutti sono stati tanto sorpresi…
Ripubblichiamo qui l’editoriale uscito sulla prima pagina di Repubblica sabato 17 ottobre 1998, a proposito della nascita (imminente) del primo governo D’Alema…
Con tutto il rispetto che meritano le persone, gli studi, le cattedre e le prestigiose testate che ospitano le opinioni di tanti autorevoli intellettuali, crediamo sia venuto il momento di porre senza tanti giri di parole un problema che riguarda gli attori del nostro dibattito pubblico. Sia chiaro sin d’ora che nulla abbiamo da eccepire sulla professionalità di studiosi quali Luca Ricolfi, Francesco Billari o Antonio Agosta. Quello che qui vorremmo discutere e sollevare come problema è l’emergere di una nuova figura pubblica, quella dell’intellettuale statistico, che nulla ha a che vedere con i concreti meriti o demeriti delle persone qui citate solo a mo’ di esempio…
Berlusconi ha perso, non per l’esito delle elezioni, ma per lo stesso motivo per il quale Garibaldi ha vinto. Ovvero: in Italia, così come non si può parlare male di Garibaldi nonostante la sua fine politica e militare ingloriosa, non si può parlare bene di Berlusconi. Il quale, in altre parole, non è riuscito a far diventare cultura il suo credo, la sua posizione politica, le sue idee. E pertanto ancora oggi, dopo dodici anni di berlusconismo, per molti Berlusconi non è stato altro che il punto d’incontro di interessi, di malaffare, di indecenza umana e politica, e non piuttosto, come io credo sia stato, innanzitutto e perlopiù il portatore di alcune (buone) idee per l’Italia…