Sono passati oltre cinquant’anni da quando Ernesto Rossi coniò la famosa e poco lusinghiera definizione di “padroni del vapore” per indicare i capitalisti italiani. Eppure non troviamo definizione più adeguata per descrivere la guerra dei treni in corso ormai da qualche anno, che ha avuto come suo ultimo capitolo la pubblica denuncia da parte di Luca Cordero di Montezemolo di “illegittimi ostacoli” posti dalle Ferrovie dello Stato al gruppo privato di cui è a capo.
Tutto inizia nel dicembre 2006 quando Montezemolo, insieme a Diego Della Valle, Gianni Punzo e Giuseppe Sciarrone danno vita a Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV), una società ferroviaria privata nata per competere con l’azienda di Stato, ma curiosamente solo sulle tratte ad alta velocità. Il motivo di questa scelta lo spiegò Mauro Moretti poco dopo essere stato nominato amministratore delegato delle Ferrovie e avere ereditato dalla gestione precedente una situazione che non è un eufemismo definire disperata: conti alla mano, solo le tratte ad alta velocità avrebbero garantito un extra-profitto da destinare al finanziamento di tutte le altre tratte in deficit, soprattutto quelle relative al trasporto locale e dei pendolari, le più importanti per la maggior parte dei passeggeri. Moretti lo spiegò chiaramente: se i privati si metteranno a fare concorrenza alle Ferrovie dello Stato sull’alta velocità, senza contemporaneamente farsi carico delle tratte meno remunerative, l’azienda pubblica chiuderà i battenti. Tre furono gli scenari possibili ipotizzati dal manager. Primo: far entrare i privati e permettere però alle FFSS di intervenire sulle tratte poco redditizie, chiudendo gli impianti (soprattutto al Sud) e licenziando almeno 10mila ferrovieri. Secondo: rinviare l’apertura del mercato dell’alta velocità, consentendo allo stato e agli enti locali di sussidiare le Ferrovie per continuare ad espletare le tratte “sociali”. Terzo: avviare l’apertura del mercato, ma solo a condizione che i privati si accollino anche qualche tratta ordinaria, oppure paghino un pedaggio aggiuntivo alla Rete ferroviaria italiana (RFI) in modo che questo maggiore introito possa essere utilizzato dalle Ferrovie per continuare a garantire il servizio nelle aree più deboli e meno redditizie.
Inutile dire che le cose andarono nel peggiore dei modi. Concesse le licenze in un modo che lo stesso Moretti anche al recente Meeting di Rimini ha definito quantomeno dubbio, l’allora governo Prodi, modificando quanto imposto da una vecchia legge (166/2002), ha eliminato l’obbligo di gare per l’assegnazione di un servizio pubblico fornito su infrastruttura pubblica (159/2007), permettendo a NTV di stipulare, in trattativa diretta, un contratto decisamente vantaggioso con RFI che andrà a regime a partire dal settembre 2011. All’azienda di Montezemolo viene concesso di poter scegliere fasce orarie e tratte fra le più redditizie, contro il pagamento di un canone annuo di 140 milioni di euro, insufficiente a garantire la manutenzione delle stesse infrastrutture, che rimarrà quindi per buona parte a carico dello stato.
Ottenute le licenze e firmati i redditizi contratti, la NTV si arricchisce di nuovi soci. Entrano con il 20% delle azioni Intesa San Paolo, con il 15% le assicurazioni Generali, con il 5% la Nuova Fourb del vice-Presidente di Confindustria Alberto Bombassei e con un altro 5% la Mais di Isabella Seragnoli. Infine, con un altro 20%, entra la Société nationale des chemins de fer français, posseduta al 100% dallo stato francese (che potrebbe tranquillamente acquistare l’intera NTV, visto che non vi è nessuna norma che lo vieti). Non è tutto: in attesa del fatidico settembre 2011 la NTV stipula pure un accordo con Alstom, società transalpina in stretti rapporti con lo stato francese, per la costruzione di 25 treni dal costo complessivo di 650 milioni di euro, soldi arrivati senza sorprese da un prestito di Intesa San Paolo. La Alstom è fra l’altro una vecchia conoscenza di Montezemolo: nel 2000, quando era alla guida del Lingotto, venne perfezionata proprio con l’azienda francese la cessione della storica Fiat Ferroviaria – produttrice della Littorina e del Pendolino – per una cifra complessiva di 720 miliardi di lire, secondo molti non adeguata, tenuto conto del fatto che l’azienda aveva fatturato nel 1999 ben 740 miliardi. Curiosamente la Alstom è anche l’azienda che, attraverso un ricorso al Tar del Lazio, è riuscita a bloccare una gigantesca commessa da 1,54 miliardi di euro che le Ferrovie dello Stato avevano assegnato al consorzio italo-canadese Ansaldo-Breda-Bombardier per la produzione di nuovi convogli. In tutto questo giro di partite italo-francesi, Montezemolo è riuscito a conquistarsi l’ambita Legion d’Onore in riconoscimento, citiamo testualmente, “non solo della sua attività industriale, ma anche dei suoi stretti legami con la Francia”. Legami a quanto pare rafforzati dall’invito ad Alitalia – di cui AirFrance è uno dei principali azionisti, insieme a una lunga serie di piccoli imprenditori italiani – a entrare nella partita con NTV attraverso un sistema di sponsorizzazioni del materiale rotabile.
Ora l’ex-Presidente di Fiat torna a battere i piedi contro le Ferrovie dello Stato. Lo fa addirittura minacciando ricorsi in sede europea e chiedendo un intervento risolutore del presidente del Consiglio. Chissà cosa potrebbe avvenire se – seguendo quanto suggerito ripetutamente da alcuni – Luca Cordero di Montezemolo assumesse la guida del paese, in presenza di questo groviglio di interessi privati assai poco coincidenti con l’interesse nazionale. Possiamo essere sicuri di una cosa soltanto: con lui, i treni arriveranno in orario. I suoi.